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Messaggio  Admin Lun 7 Gen 2008 - 15:43

Abbiamo la data dell’inizio del movimento rinnovatore. Ce la suggerisce Paolo Messina, nel suo pezzo pubblicato nel Febbraio 1988 a Palermo sul numero ZERO del rinato PO’ T’Ù CUNTU: quella del Primo raduno di poesia siciliana svoltosi a Catania il 27 Ottobre 1945. <L’innovatore - afferma, nel numero di Gennaio-Febbraio 1989 di ARTE E FOLKLORE DI SICILIA DI CATANIA, Salvatore Camilleri - fu Paolo Messina, ma bisognò aspettare almeno cinque anni prima che altri poeti maturassero quella rivoluzione, formale e strutturale che era in atto>. <Aldo Grienti - ribadisce il Camilleri nel MANIFESTO DELLA NUOVA POESIA SICILIANA, edito in Catania nel 1989 - fu il primo a leggere, nel 1947, le poesie di rottura di Paolo Messina, avendole pubblicate nella rubrica da lui curata.>
In un articolo datato 3 Aprile 1986 su LA SICILIA di Catania, ancora Paolo Messina puntualizza: <Aldo Grienti non esitò a pubblicare sui fogli letterari catanesi Torcia a ventu e La Sorgiva (1946-1947) i primissimi esiti artistici che avrebbero rivoluzionato il modo di poetare in Sicilia. E non inganni la modestia tipografica di quelle pubblicazioni, poiché dalle loro pagine provinciali i testi più significativi dovevano confluire, nel volgere di pochi anni, sulla più qualificata rivista romana IL BELLI diretta da Mario Dell’Arco e curata da Pier Paolo Pasolini.>
Ma cosa è stato il “RINNOVAMENTO”? Chi ne costituì il movimento? Quale ne fu il programma? In sostanza, di che si tratta?
A Palermo, prima che terminasse il 1943, Federico De Maria venne a trovarsi a capo di un nucleo di giovani poeti dialettali: Ugo Ammannato, Miano Conti, Paolo Messina, Nino Orsini, Pietro Tamburello, Gianni Varvaro, e nell’Ottobre 1944 venne fondata la Società degli Scrittori e Artisti di Sicilia, che ebbe sede nell’Aula Gialla del Politeama, e in primavera, all’aperto, nei giardini della Palazzina Cinese alla Favorita.
<Tra la fine del ’43 e l’inizio del ’44 - scrive Paolo Messina nel saggio LA NUOVA SCUOLA POETICA SICILIANA, del 1985 - la guerra continuava, e doveva continuare ancora per un anno. Risaliva la penisola, e in Sicilia per primi avevamo respirato, l’acre pungente ciauru della libertà, mentre il quadro prospettico del mondo già mutava radicalmente. Da qui l’esigenza di rifondare non solo la società civile, ma anche il linguaggio. Nel 1946, alla scomparsa di Alessio Di Giovanni, quel primo nucleo di poeti che comprendeva le voci più impegnate dell’Isola prese il nome del Maestro e si denominò appunto Gruppo Alessio Di Giovanni. Occorre però dire che non ci fu un manifesto, né l’ausilio di un apparato critico, né un riscontro adeguato sulla stampa>. Ed enuncia i tre capisaldi programmatici del Gruppo Alessio Di Giovanni:
1. L’elaborazione e l’adozione di una koiné siciliana -
2. La libertà metrica e sintattica a vantaggio della forza espressiva ma in una rigorosa compagine concettuale e musicale (di valori fonici, timbrici e ritmici) -
3. L’unità di pensiero, linguaggio e realtà (che doveva o avrebbe dovuto garantirci una visione prospettica siciliana della vita e dell’arte).
Sul versante ionico, nella Catania del ’44, il gruppo di cui Salvatore Camilleri era l’animatore: Mario Biondi (nella cui sala da toeletta di via Prefettura si tenevano gli incontri diurni, mentre di sera li attendeva il salotto di Pietro Guido Cesareo, in via Vittorio Emanuele 305), Enzo D’Agata, Mario Gori ed altri già appartenenti all’Unione Amici del Dialetto, si ribattezzò (dietro suggerimento di Mario Biondi) Trinacrismo.
<Il dialetto - dichiara Paolo Messina su LA NUOVA SCUOLA POETICA SICILIANA - era per noi un modo concreto di rompere con la tradizione letteraria nazionale, per accorciare le distanze dalla verità. Naturalmente, eravamo consapevoli dei rischi dell’opzione dialettale, che se da un lato ci portava alla suggestione della pronunzia, dall’altro restringeva alla Sicilia il cerchio della diffusione e della attenzione critica. Ma in compenso ponevamo l’accento sull’ispirazione popolare del nostro fare poesia, che doveva farci cantare con il popolo che per noi era quello siciliano, come siciliano era il nostro punto di vista sulla nuova società letteraria nazionale. Ed ecco la nozione dell’impegno (che non ammette - preciserà in altra occasione - alcuna dipendenza politica, ma punta direttamente sull’uomo e sulla lotta dell’uomo per uscire da una condizione disumana), impegno inteso allora come partecipazione, anche coi nostri atti di poesia, alla costruzione di una società libera e giusta, cosciente ormai di potere progredire solo nella pace e nella concordia fra i popoli>.
<Il dialetto - riprende sul pezzo in memoria di Aldo Grienti, apparso nel Febbraio 1988 a Palermo sul numero ZERO di quello che fu l’effimero ritorno ad opera di Salvatore Di Marco del PO’ T’Ù CUNTU - non era più portatore di una “cultura subalterna”, ma si era innalzato alla ricerca di “contenuti” (e quindi di forme) su più vasti orizzonti di pensiero. Sicché la poesia siciliana toccava il punto di non ritorno, aboliva ogni pregiudiziale etnografica, pur restando (linguisticamente) siciliana.>
<I maestri preferimmo andarceli a cercare altrove e ricordo che si parlava molto della poesia francese, da Baudelaire a Valéry, e delle avanguardie europee. Circolava di mano in mano un vecchissimo volumetto delle FLEURS DU MAL, che credo fosse di Pietro Tamburello, il più informato allora, fra noi, sulla poesia straniera>.
<Un poeta, noi pensiamo - aveva detto tra l’altro in MUSEO ETNOGRAFICO (un pezzo non firmato del 31 Maggio 1954 ma, sostiene Salvatore Camilleri, sicuramente di) Pietro Tamburello - comunica coi mezzi che egli crede esteticamente più idonei alla liberazione del canto. Noi vagheggiamo un ideale museo ove riporre definitivamente i tardi epigoni del Meli e dello Scimonelli, i rapsodi d’un inverosimile mondo pastorale, i beati menestrelli di una Sicilia convenzionale e manierata e tante brave persone che professano critica letteraria e non sanno distinguere fra la melensa faciloneria dei loro compagni di museo e la consapevolezza di chi affida al linguaggio del focolare i propri sentimenti, il suo pensiero e le sue fantasie, solo per una esigenza spirituale che si può discutere ma non ignorare. In questo museo delle idee sbagliate non può mancare quella di chi considera il poeta siciliano un complemento del folklore locale, quasi una curiosità paesana da offrire ai visitatori insieme al carrettino, alla brocchetta e al paladino di Francia impennacchiato.>
<Io - soppesa Salvatore Camilleri - intendevo rinnovare la poesia dall’interno, per evoluzione spontanea del siciliano, attraverso le fasi ineluttabili del processo di sviluppo linguistico; Paolo Messina pensava di dare subito un taglio netto al passato, e lo diede. Il motivo dei nostri diversi atteggiamenti sta nel fatto che io avevo prima letto Croce e poi i simbolisti, Paolo aveva letto prima i simbolisti, poi Croce.>
<A nostra puisia - attesta Paolo Messina in PUISIA SICILIANA E CRITICA - canciò strata picchì si livò u tistali d’i tradizioni pupulari>.
Nell’articolo titolato LA CIVILTA’ DEI CAFFE’, pure proposto nel Febbraio 1988 a Palermo sul numero ZERO del nuovo PO’ T’Ù CUNTU, Salvatore Di Marco registra: <Negli anni Cinquanta c’era a Palermo, in via Roma quasi all’altezza dell’incrocio con il Corso Vittorio Emanuele, uno dei caffè Caflish. Al piano superiore, una saletta con sedie e tavolini. Ebbene, in quel luogo e per anni - sicuramente dal 1954 al 1958 - nella mattinata di tutte le domeniche si riunivano i poeti del Gruppo Alessio Di Giovanni. Frequentatori erano, oltre a chi scrive, Ugo Ammannato, Pietro Tamburello, Miano Conti, Gianni Varvaro e altri. Vi arrivavano spesso Ignazio Buttitta da Bagheria, Elvezio Petix da Casteldaccia, Antonino Cremona da Agrigento, e da Catania Carmelo Molino e Salvatore Di Pietro: insomma, i personaggi più significativi allora della nuova poesia siciliana. In quegli incontri si leggevano poesie, si parlava del dialetto siciliano, si discuteva di letteratura e di politica>.
Nel 1957 Aldo Grienti e Carmelo Molino furono i curatori della Antologia POETI SICILIANI D’OGGI, Reina Editore in Catania. Con introduzione e note critiche di Antonio Corsaro, essa raccoglie, in rigoroso ordine alfabetico, una esigua qualificata selezione dei testi di 17 autori: Ugo Ammannato, Saro Bottino, Ignazio Buttitta, Miano Conti, Antonino Cremona, Salvatore Di Marco, Salvatore Di Pietro, Girolamo Ferlito, Aldo Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino, Stefania Montalbano, Nino Orsini, Ildebrando Patamia, Pietro Tamburello, Francesco Vaccaielli e Gianni Varvaro.
Ma già prima, nel 1955, con la prefazione di Giovanni Vaccarella, aveva visto la luce a Palermo l’Antologia POESIA DIALETTALE DI SICILIA. Protagonisti il Gruppo Alessio Di Giovanni: U. Ammannato, I. Buttitta, M. Conti, Salvatore Equizzi, A. Grienti, P. Messina, C. Molino, N. Orsini e P. Tamburello.
Le due sillogi, che ebbero al tempo eco nazionale (una recensione a cura di Paolo Messina apparve in data 21 Maggio 1955 su IL CONTEMPORANEO di Roma) e tuttora sono ben note agli appassionati, sono state antesignane del RINNOVAMENTO DELLA POESIA DIALETTALE SICILIANA.
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Messaggio  Admin Lun 7 Gen 2008 - 15:43

<Oggi la poesia dialettale - scrive tra l’altro Giovanni Vaccarella nella prefazione a POESIA DIALETTALE DI SICILIA - è poesia di cose e non di parole, è poesia universale e non regionalistica, è poesia di consistenza e non di evanescenza. Lontana dal canto spiegato e dalla rimeria patetica, guadagna in scavazione interiore quel che perde in effusione. Le parole mancano di esteriore dolcezza e non sono ricercate né preziose: niente miele e tutta pietra. Il lettore di questa poesia è pregato di credere che nei veri poeti la oscurità non è speculazione, ma risultato di un processo di pene espressive, che porta con sé il segreto peso dello sforzo contro il facile, contro l’ovvio. Perché la poesia non è fatta soltanto di spontaneità e di immediatezza, ma di disciplina. La più autentica poesia dei nostri giorni è scritta in una lingua che parte dallo stato primordiale del dialetto per scrostarsi degli orpelli e della patina che i secoli hanno accomunato, per sletteralizzarsi e assumere quella condizione di nudità, che è la sigla dei grandi.>
<I dialettali - osserva Antonio Corsaro, in prefazione a POETI SICILIANI D’OGGI - non sono mai stati estranei alle vicende della cultura nazionale, anche se, disuguale è il loro piano di risonanza. Nell’ambito di una lingua, per dire, ufficiale, che assorbe e trasmette tutte le vibrazioni di un’epoca, il dialetto si presenta come una fuga regionale. Ma in un periodo come il nostro che nella poesia ha versato gli stati d’animo, l’essenza umbratile e segreta dello spirito attraverso un linguaggio puro da ogni intenzione oratoria, i poeti dialettali si trovano nella identica situazione dei loro compagni in lingua, senza che neppure la difficoltà del mezzo espressivo costituisca ormai una ragione valida di isolamento. Tanto più che i nostri lirici in dialetto sono già arrivati a un tal segno di purezza e a una tale esperienza tecnica da non avere nulla da perdere nel confronto con i lirici in lingua. Anzi, in un certo senso, i dialettali ne vengono avvantaggiati per l’uso che possono fare di una lingua meno logora, attingendola alle sorgenti che l’usura letteraria suole meglio rispettare.>
Nel 1959, nel saggio titolato ALLA RICERCA DEL LINGUAGGIO, Salvatore Camilleri considera: <Si cerca di restituire alla parola una sua originaria verginità fatta di senso e di suono, di colore e di disegno, ricca di polivalenze. E’ una continua ricerca di esperienze formali, in cui l’analogia gioca la parte principale nel creare situazioni liriche e contatti tra evidenze lontanissime. Qualcosa si è fatto veramente poesia, poesia siciliana, cioè sentita ed espressa sicilianamente, con immagini siciliane oltre che con parole. Il fatto strano, fuori dalla logica progressione delle cose, è che la rivolta è nata di colpo, sulle esperienze altrui (italiana, francese etc.) e non sull’esperienza siciliana.> E puntualizza: <La parola, nel contesto poetico, liberata dalle sue incrostazioni, ha perduto parte del suo significato semantico, acquistandone uno meno deciso, legato alla sua posizione, logica e fonica: quello analogico, l’immagine si è liberata dall’oggetto, risolvendosi nel simbolo, senza però mai sganciare la realtà dall’ordine oggettivo, l’aggettivazione ha subito una stretta e diviene ricerca e approfondimento del lessico, (si tende) ad umanizzare gli oggetti, dando ad essi le emozioni degli uomini, a trasfigurare la realtà e trascenderla sempre.>
POETI SICILIANI D’OGGI <fu il libro - asserisce in seguito lo stesso Camilleri, in prefazione a POETI SICILIANI CONTEMPORANEI del 1979 - che mise definitivamente una pietra sul passato. Le idee si erano fatta strada, avevano raggiunto i poeti in ogni angolo della Sicilia, anche i più solitari, i meno propensi a mutar pelle, e li avevano costretti a ragionare; e così, nell’ansia polemica del rinnovamento, all’eccessivo sperimentalismo formale e al gusto funambolico dei più avanzati seguì l’abbandono dell’ottava e del sonetto, divenuti solo strumenti propedeutici; a un più deciso lavoro sulla parola e sulla metrica seguì, da parte anche dei più retrivi, il rifiuto dei moduli tradizionali. Da questo travaglio, dai più avanzati che volevano romperla totalmente con il passato, ai moderati che volevano innestare le nuove idee nell’albero della tradizione, nacque la poesia siciliana moderna, anche grazie alla conoscenza che i più ebbero del simbolismo francese e dell’ermetismo italiano.>
Il RINNOVAMENTO DELLA POESIA DIALETTALE SICILIANA, la stagione tra il 1945 e la metà circa degli anni Cinquanta, stagione allora segnata dal movimento di giovani poeti dialettali palermitani e catanesi, fu rinnovamento fondato sui testi e non sugli oziosi proclami, sugli esiti artistici individuali e non su qualche manifesto.
La Storia, è assodato, non è fatta coi se e coi ma. Ma se alcuni anni dopo, su quelle ceneri evidentemente non ancora del tutto spente, fosse stato portato a compimento, come del resto per qualche tempo nel 1968 fu nell’aria, il progetto di una nuova Rivista di cui Paolo Messina era stato incaricato di assumere la direzione, chissà …
Riportiamo, di seguito, larghi estratti dell’editoriale (inedito) del primo numero di KOINÈ DELLA NUOVA POESIA SICILIANA, rivista che avrebbe dovuto promuovere studi intorno alla storia e alla critica della poesia siciliana, il cui debutto avrebbe dovuto registrarsi a Palermo, nei mesi di Maggio-Giugno 1969. Appunta Paolo Messina:
<Intorno agli anni Cinquanta, a cura di un gruppo di poeti dialettali siciliani (il Gruppo Alessio Di Giovanni), usciva un opuscolo fuori commercio contenente alcune liriche “aggiornatissime” che avrebbero dovuto siglare, nelle intenzioni almeno del prefatore, una svolta in senso letterario di quelle attitudini metriche e velleità federiciane. E poiché alcuni di noi fummo del gruppo che, occorre dirlo, non si configurò in chiave di omogeneità né di agguerrita faziosità intellettuale, tornando a un simile approdo con il carico di personali e complesse esperienze culturali, traumatizzati dall’arida melopea della società dei consumi, pur affidando quell’episodio ai flutti obliosi dell’emerografia locale, non possiamo più oggi prescindere da un “impegno” nel presente storico, il che introduce inevitabilmente rischi, azzardi e responsabilità, ma postula innanzitutto l’aperta condanna di ogni ipocrisia intellettuale e l’adozione del poetare come espressione di un più alto grado di libertà. Può a tutta prima sembrare una richiesta eccessiva per una poesia che la tradizione critica e letteraria continua a definire “dialettale” nel senso di un suo peculiare carattere di “minorità”, ma la questione va oggi posta in termini di scelta motivata: o dal bisogno quasi fisiologico di un canto purchessia (e ciò sarebbe un ricadere nel cono d’ombra della tradizione folklorica), oppure dall’esigenza di uscire dal soffocante amplesso dello sperimentalismo postosi ormai come unico elemento strutturale della poesia. Esiste un’ampia copertura di legittimità critica e di formali adesioni letterarie in favore della seconda motivazione: il dialetto come alternativa semantica alla caduta di potenziale espressivo della lingua e della letteratura ufficiali. L’urgenza espressiva del dialetto puro (come negli idiomi dei popoli giovani) tende a capovolgere i rapporti con la lingua illustre e ci appare oggi su posizioni più autenticamente rivoluzionarie rispetto ai logori, stereotipati moduli dell’ufficialità letteraria. Ancora meglio se questa urgenza possiamo verificarla nel dialetto siciliano, erede di quel volgare che Dante non reputò “degno dell’onore di preferenza perché non si proferisce senza una certa strascicatezza” e che tuttavia prestò la sua compatta orditura all’esercizio stilistico di Jacopo da Lentini, la sua potenza evocatrice all’approdo veristico del Verga, la sua costante di umanità alla cultura mitteleuropea del Pirandello. Una koiné che implichi poeti e poetiche in un discorso o azione comune che, proprio nell’humus di secolari stratificazioni culturali, per la profonda analogia dei fulcri semantici nel mondo contemporaneo, si spoglia di ogni pregiudizio esoterico e riacquista il volto dimenticato dell’uomo.>


Marco Scalabrino
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Messaggio  Flavia Vizzari Gio 19 Mag 2011 - 11:14

Ars, approvati i ddl sulla formazione e sull’insegnamento della storia siciliana nelle scuole
Inserita da redazione il mag 18th, 2011 e archiviata in Regione.


I disegni di legge sulla formazione professionale, sull’insegnamento della storia, della letteratura e della lingua siciliana nelle scuole e la proposta di modifica dell’art. 153 del regolamento interno dell’Assemblea sono stati approvati ad unanimità ed in via definitiva dall’Assemblea regionale siciliana – alla cui presidenza si sono avvicendati il presidente Francesco Cascio e il vice presidente vicario Santi Formica – nella seduta pomeridiana di mercoledì 18 maggio 2011.
Il disegno di legge sulla formazione professionale, riscritto da un emendamento del Governo è stato approvato con 53 voti favorevoli. Inoltre, sono stati ritirati diversi sub emendamenti ed approvati due emendamenti aggiuntivi e quattro ordini del giorno riguardanti la stessa materia.
Invece, il disegno di legge sull’insegnamento della storia, della letteratura e della lingua siciliana nelle scuole con tre emendamenti aggiuntivi è passato con 45 voti.
Mentre la proposta di modifica dell’art. 153 del regolamento interno ha ottenuto 49 voti.
Nel corso dei lavori d’Aula, si sono susseguiti gli interventi di tutti i gruppi parlamentari e dell’assessore alla formazione Mario Centorrino.
Il presidente Cascio ha quindi rinviato i lavori d’Aula a martedì 31 maggio alle ore 16,00 con all’ordine del giorno la riorganizzazione e potenziamento della rete regionale di residenzialità per i soggetti fragili.

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Messaggio  Flavia Vizzari Lun 18 Lug 2016 - 9:54

... ma pare che questo rinnovamento con l'andare del tempo si sia arenato...
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Messaggio  Giuseppe La Delfa Gio 21 Lug 2016 - 5:10

E' proprio vero siamo  stati dimenticati  da tutti . Il meraviglioso progetto sull'insegnamento della lingua siciliana si è  arenato ; come dice il proverbio: I sogni svaniscono all'alba.   Pippo
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Messaggio  Giuseppe La Delfa Gio 21 Lug 2016 - 5:16

Nonostante tutto direi di non rassegnarci , verranno tempi migliori . Dobbiamo lottare con caparbietà per raggiungere almeno un obiettivo minimo; organizzare in ogni associazione dei corsi di grammatica della nostra prestigiosa lingua.  Diamo una svolta con un sondaggio . Pippo king

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