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Situazione linguistica in Sicilia in età tardo romana

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Situazione linguistica in Sicilia in età tardo romana Empty Situazione linguistica in Sicilia in età tardo romana

Messaggio  Flavia Vizzari Dom 19 Giu 2016 - 23:49

Non è molto chiaro quale fosse la situazione linguistica della Sicilia in epoca tardo-romana. Si ha l’impressione che non rimanesse nulla delle varietà preromane (punico, elimo, sicano, siculo) e che l’isola fosse divisa tra latino e greco, ma non siamo in grado di precisare, neppure sulle grandi linee, quali fossero le aree delle due lingue. I dati diretti (sostanzialmente iscrizioni) e quelli indiretti sembrano dirci che ambedue le lingue fossero in uso, con una certa polarizzazione del greco nella Sicilia orientale, attorno a Siracusa, che era allora la capitale, e del latino in quella occidentale. La chiesa sembra di rito latino, ma non senza qualche diffusione del rito greco.
Dopo un breve intermezzo di Goti e Vandali, la Sicilia è conquistata dall’Impero romano d’Oriente nel 535 e rimane bizantina fino all’arrivo dei Musulmani nell’828, per circa 300 anni. La capitale rimane a Siracusa, che per qualche anno è anche la residenza dell’Imperatore, ma la situazione generale cambia abbastanza profondamente. Se al tempo di Giustiniano la lingua ufficiale dell’Impero orientale era ancora il latino, poco dopo diventa il greco. 
Gli scrittori di epoca bizantina (qualcuno anche posteriore all’arrivo dei Musulmani) sono in genere di lingua greca. Nel secolo scorso si è discusso a lungo, e con pericolose passioni nazionalistiche, sulla sopravvivenza del greco in epoca romana e, specularmente, del latino o neolatino in epoca bizantina. Le due tesi estreme sono insostenibili. Esse erano basate su dati linguistici, che non provano nulla. Che tra i numerosi grecismi dei dialetti romanzi meridionali o nel lessico neogreco delle isole linguistiche che tuttora restano nella Calabria estrema o nel Salento ci siano dorismi che probabilmente risalgono all’antica colonizzazione preromana non significa gran che. Che la maggioranza di tali voci siano di tipo greco bizantino significa ancora meno, perché è ovvio che una grecità ininterrotta è passata attraverso una fase bizantina. Le fonti narrative di epoca bizantina non informano sulla situazione linguistica; il fatto che ci si muovesse senza apparenti problemi linguistici tra la Sicilia e la Calabria dice poco, perché anche in Calabria erano presenti ambedue le varietà, né la lingua è stata mai un ostacolo decisivo per l’emigrazione. Le iscrizioni diventano molto scarse in periodo bizantino ed il fatto che siano quasi sempre in greco ci dice quale fosse la lingua di prestigio, ma non esclude che l’altra fosse diffusa a livello sociolinguistico inferiore.
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Situazione linguistica in Sicilia in età tardo romana Empty Re: Situazione linguistica in Sicilia in età tardo romana

Messaggio  Flavia Vizzari Dom 19 Giu 2016 - 23:50

Le fonti narrative arabe, che sono abbastanza numerose, non ci aiutano, perché il termine rûm indica l’afferenza religiosa e sappiamo già che i cristiani erano tutti da più di un secolo di rito greco. Lo stesso vale per i cronisti latini della successiva riconquista normanna, che parlano sempre di Graeci, ma non si riferiscono alla lingua. Si capisce dunque come sia stato possibile dire che la Sicilia musulmana era un’isola bilingue, araba a occidente e greca a oriente. Spesso questa opinione era conseguente a quella che alla fine del periodo bizantino l’isola fosse interamente grecizzata. La grecità sarebbe stata erosa dalle immigrazioni dal Maghreb e dalla perdita di prestigio del greco rispetto all’arabo. Solo la conquista normanna, realizzata in un trentennio a partire dal 1060 avrebbe riportato il latino ed il neolatino in Sicilia. La nuova situazione dell’epoca normanna, vale a dire di un’isola trilingue (latino, greco e arabo), sembra espressa emblematicamente da epigrafi, come quella che qui mostriamo e che è esposta a Palermo: 
Situazione linguistica in Sicilia in età tardo romana Immagi12
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Messaggio  Flavia Vizzari Dom 19 Giu 2016 - 23:51

Noi crediamo che tale communis opinio sia sostanzialmente errata. I debolissimi argomenti a favore del greco sono spiegati con la storia religiosa dell’isola e con osservazioni sociolinguistiche (il prestigio del greco, inferiore a quello dell’arabo ma superiore a quello del latino).  Esistono però indizi che parlano in favore dell’esistenza di un mozarabico siciliano, analogo a quello che permane a lungo nella penisola iberica.
Non abbiamo testi in questa varietà, ma alcuni dei villani elencati nei documenti fiscali in lingua greca di epoca normanna portano nomi arabi ma patronimici o soprannomi di tipo romanzo: Yūsuf ibn al-Qārū, Yūsuf ibn Yannār, ‘Alī al-Istranbū.  Ancor più interessante è che alcuni dei pochi toponimi di tipo latino (i nomi di luogo sono quasi del tutto arabizzati, come in Spagna) documentano fenomeni estranei al successivo dialetto siciliano, come la conservazione della desinenza plurale   –s: il toponimo Itrāb.n.š < DREPANIS ‘Trapani’, qan(n)eš < CANNES, q.br.š < CAPRES, māl.s < *MALES da MALUM. E per quanto sia vero che il dialetto siciliano sia il meno meridionale dei dialetti italiani meridionali, come hanno dimostrato diversi studiosi ed in specie Gerhard Rohlfs, è anche vero che qualche volta conserva forme, come esti, 3.a persona del presente di essere, che è più conservativa delle forme italiane peninsulari. Insomma, abbiamo ragione di pensare che tra il VI ed il IX secolo la Sicilia fosse sì plurilingue, ma in modo diverso da quanto fosse prima e di quanto sarà dopo. Di tutte le varietà presenti prima dell’arrivo dei Romani nel sec. VI non sopravviveva che il greco, che nei secoli alto-medievali diventa la lingua di prestigio, la lingua dell’amministrazione e la lingua della chiesa secolare e regolare. Il latino a poco a poco esce dall’uso colto e in quello popolare scade a lingua dei contadini, almeno di quelli della Sicilia occidentale che non sono di lingua araba o berbera. Il greco della Sicilia medievale doveva essere naturalmente uno sviluppo della koiné, ma con tratti specifici.
Se a livello colto non si avvertono differenze con il greco di Costantinopoli, i documenti di archivio di epoca normanna in lingua greca ci attestano fonetica e forme devianti, che possono trovare riscontro nel neogreco moderno di Calabria (o del Salento).
Dell’arabo di Sicilia abbiamo numerosi testi (raccolti nella Bibliotheca arabo-sicula di Michele Amari 1880), ma di carattere colto e quindi sostanzialmente in arabo coranico. L’arabo parlato non è documentato che nei nomi di persona e di luogo. Se ne può avere un’idea più ricca attraverso il maltese, che deve esserne una varietà, dato che Malta era un’appendice della Sicilia musulmana, fu conquistata dai Normanni e rimase parte del regno di Sicilia fino al 1800, anche se Carlo V imperatore la concesse ai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme nel 1530.
In Sicilia l’arabo si è parlato lungamente anche dopo la conquista normanna ed anche dopo che Federico II, nel secolo XIII costrinse i musulmani restanti a trasferirsi in Puglia. Gli ebrei siciliani, espulsi nel 1492, usavano per lo più l’arabo, ma non ne abbiamo documentazione del parlato. La varietà araba parlata nell’isola di Pantelleria è scomparsa nel corso del 1500, lasciando numerosissimi relitti lessicali. Quali fossero le condizioni reali del contatto linguistico tra i diversi parlanti in queste situazioni è molto difficile dire. Sappiamo qualche volta che singoli individui parlavano arabo e greco, per esempio, ma non sappiamo mai quale arabo e quale greco parlassero.
Il successivo dialetto siciliano, che a sua volta più che continuatore del mozarabico siciliano è una koiné dei dialetti peninsulari parlati dai numerosissimi immigrati di epoca normanna e sveva, non senza apporti galloromanzi  (anche dall’Inghilterra anglonormanna), conserva un buon numero di grecismi e di arabismi (ma questi sono assai meno numerosi che in Spagna). Non è però possibile stabilire se si tratti di prestiti, accolti da parlanti del romanzo che conoscevano l’arabo e il greco, oppure di relitti, cioè di termini della lingua di origine conservati dai moltissimi che nel tempo abbandonarono la loro L1 (greco o arabo) per passare alla L2 neolatina.
 

di Alberto Varvaro
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Messaggio  Flavia Vizzari Lun 20 Giu 2016 - 0:07

Il «Siculo Arabic» e gli arabismi medievali e moderni in Sicilia di Roberto Sottile:

http://www.academia.edu/8706524/Il_Siculo_Arabic_e_gli_arabismi_medievali_e_moderni_in_Sicilia
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