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Il dialetto gallo-italico di Sicilia (poeti di Piazza Armerina)

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Messaggio  Flavia Vizzari Lun 28 Gen 2008 - 18:02

Il dialetto gallo-italico e i poeti vernacolari di Piazza Armerina      


Nonostante che la struttura sintattica sia sovrapponibile a quella del dialetto siciliano tuttavia, dal punto di vista linguistico-lessicale, l'idioma gallo-italico (o lombardo-siculo che dir si voglia) presenta un incredibile apporto di vocaboli e di fonemi talvolta intraducibili poiché porta con sé influssi greci, latini, arabi, lombardi, provenzali, catalani, etc.

A Piazza Armerina, ormai da tempo, uno stuolo di volenterosi poeti ha continuato una tradizione letteraria che persegue lo scopo non dichiarato di non far estinguere questo affascinante idioma o quantomeno di continuare a lasciarne l'eredità alle future generazioni. Così, attraverso le opere di poeti piazzesi e sperando che ancora la parlata dei quartieri popolari venga gelosamente protetta, riusciamo a seguire il cammino della continuità di questo seducente linguaggio.

Già nel 1872 Remigio Roccella scriveva il suo primo libro "Poesia piazzese" e tre anni dopo pubblicava il "Vocabolario della lingua parlata in Piazza Armerina" che, contenendo elementi di grammatica e di fonetica, è stato un punto di riferimento preciso e necessario a quanti dopo di lui si sono occupati di questo linguaggio. Nel 1877 pubblicava una seconda edizione (“Poesie e prose nella lingua parlata piazzese” arricchita di nuove poesie, racconti popolari, una gran quantità di proverbi e una commedia in tre atti (Scuta a to pa'). A Remigio Roccella, poeta satirico e moraleggiante, spesso con autentici slanci lirici, va la gratitudine dei suoi posteri concittadini ai quali è consentito di gioire di deliziosi quadretti idilliaci e, invero, i poeti dialettali che lo hanno seguito lo considerano un po’ il padre della parlata lombarda dato che sono andate perdute le tracce di ogni precedente produzione letteraria in questa lingua.

Nel secolo scorso un poeta dialettale, molto amato e continuamente citato, è stato Carmelo Scibona che, pubblicando nel 1935 un volume da lui stesso definito di poesie "satirico-umoristiche (U’ cardubu = il calabrone), arricchì il patrimonio poetico della città facendo rivivere fino ai giorni nostri tutte le espressioni tradizionali più popolari e incisive. Egli, abilissimo artigiano del legno, amava scrivere con il lapis i suoi versi estemporanei direttamente sulle tavole da lavoro e, appena finiva di declamarli, con un colpo di pialla li riduceva in trucioli. Chi stava a sentirlo puntualmente trascriveva i frizzanti versi e li divulgava. La sua opera “U’ cardubu” è stata pubblicata nel 1997 con il titolo originario “I mì f’ssarì” in una ponderosa edizione critica, filologicamente sicura e ortograficamente coerente, arricchita di tutti i componimenti inediti del poeta finora ritrovati, a cura di Salvatore C. Trovato nell’ambito del “Progetto galloitalici”.

La tradizione in gallo-italico continuava ancora con Gaetano Marino Albanese “Ciucciuledda”, coevo di Scibona, di cui purtroppo possediamo soltanto una raccolta postuma pubblicata nel 1982 dal figlio Liborio col titolo: “Ricordando mio padre”.

Per chi pensasse che il vernacolo piazzese si presti solo a fare satira di costume, viene a smentirlo il malinconico poeta Giuseppe Ciancio che, con la sua pubblicazione del 1971 "Faiddi", ci regala una raccolta delicatissima e tenera, frutto della pacata meditazione sull'umana condizione. Nel 1997 gli fu dedicata una strada nella contrada Scarante.

Un poeta dialettale piazzese "verace" è attualmente Pino Testa che vive con la città un rapporto viscerale. Egli infatti è cantore popolare, a volte oleografico e celebrativo, altre volte satirico e mordace, ma sempre nostalgico del "tempo che fu". Autentico conoscitore del linguaggio dei padri, come Scibona e Albanese, è autodidatta e poeta istintivo e satirico. I suoi versi sono quadretti di vita paesana e pennellate d’autore. Testa non ha pubblicato volumi di versi, ma la sua poesia si conosce per frequente declamazione pubblica, tuttavia custodisce un enorme patrimonio inedito (“P’nz’ddiàdi”) di cui vedremmo volentieri la pubblicazione.

La memoria sociale, frutto del cuore e della ragione, ha certamente bisogno di essere coltivata e poi affidata alla custodia dei posteri. Tutto questo lo ha fatto, con grande passione e devozione quell'eclettico artista che è stato Gioacchino Fonti, scomparso nel 1994. Egli ha plasmato l'argilla, ha prodotto olii e chine pregevoli ritraendo luoghi e uomini della sua città,ma soprattutto è stato divulgatore di cultura e testimone di un'epoca. Così cavalcò il linguaggio degli antenati e sognò di insegnarlo alle giovani generazioni anche come materia scolastica. Tradusse nell'idioma gallo-italico vocaboli moderni pubblicando una grammatica in cui propose un’interessante guida alla formazione dei vocaboli nuovi. Pubblicò vari testi poetici tra cui "U’ sbrims paisang” (Il brindisi paesano). Come gli alchimisti di un tempo remoto Ino Fonti distillava i ricordi e faceva risorgere situazioni e personaggi caratteristici di un'epoca più innocente e sicuramente più a misura d'uomo rispetto a quella attuale. Ne veniva fuori una creazione poetica che, usando l'obbligatorio idioma gallo-italico "ciaccès", assomiglia a una vernice pittorica, a una vetrina che osserviamo con simpatia, con rabbia, con emozione. Un prisma che riflette sfaccettata una fetta del recente passato.
Flavia Vizzari
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Messaggio  Flavia Vizzari Dom 19 Giu 2016 - 14:37

da Wikipedia

I gallo-italici di Sicilia (o galloitalici di Sicilia), anche detti dialetti alto-italiani della Sicilia,[2] sono un'isola linguistica alloglotta all'interno della Sicilia centrale e orientale composta da dialetti in cui dominano caratteristiche, soprattutto fonetiche, tipiche dell'italiano settentrionale, appartenenti cioè alle parlate del gruppo linguistico gallo-italico, nel quale sono presenti un sostrato gallo-celtico e un superstrato germanico, diffuso in gran parte dell'Italia Settentrionale e storicamente appartenente alla macro-regione a sud delle Alpi che i Romani chiamarono Gallia cisalpina.
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Messaggio  Flavia Vizzari Dom 19 Giu 2016 - 14:39

da Wikipedia

La definizione galloitalici di Sicilia è preferibile ad altre, quali gallo-siculo o lombardo-siculo, che risultano più ambigue: il termine siculo presume un sostrato primitivo che è stato pressoché annullato dal greco e poi dal latino, il termine lombardo oggi è molto più limitato rispetto al significato originario che indicava l'antico regno longobardo.
La definizione dell'area geografica "di Sicilia" va specificata perché il galloitalico originario qui ha subito processi di confronto, cedimento, adeguamento o simbiosi con il siciliano prevalente, dando vita a dialetti che si distinguono dal resto dei siciliani per una diversa articolazione fonetica e in alcuni casi morfologica, ma che ha perso, forse molto presto, buona parte del patrimonio lessicale dell'antico galloitalico. L'articolazione fonetica, invece, è ancora oggi tanto marcata che il galloitalico che parla italiano si differenzia in modo notevole dal resto dei siciliani.
Flavia Vizzari
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Messaggio  Flavia Vizzari Dom 19 Giu 2016 - 14:39

La presenza di parlate settentrionali nel cuore della Sicilia si spiega con l'arrivo di coloni e soldati provenienti dal Nord Italia – soprattutto dal Piemonte (Monferrato), dalla Liguria (variante oltregiogo), e in minor parte dalla Lombardia ed Emilia - favorito dai Normanni conquistatori della Sicilia, a partire dall'XI secolo e continuata fino al XIII secolo. A questi coloni longobardi si aggiunsero soldati mercenari provenienti dalla Provenza, nel sud-est della Francia, chiamati a difesa delle fortificazioni normanne.
I centri dove il gallo-italico è parlato, o dove è possibile ancora identificarne le tracce nella fonetica e nel lessico, sono distribuite nell'entroterra delle province di Messina, Siracusa e Catania e nella provincia interna per eccellenza, Enna; tutti i centri sono posizionati in quella zona che separava gli arabi della costa orientale da quelli del centro e della costa occidentale, quasi a creare una zona cuscinetto, uno zoccolo duro da dove procedere per consolidare la recente conquista, ricristianizzare e rilatinizzare la Sicilia.
I principali centri galloitalici sono in provincia di Enna: Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina, Valguarnera Caropepe e Aidone, e in provincia di Messina: San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Montalbano Elicona, Novara di Sicilia, Fondachelli-Fantina.
Rilevanti tracce galloitaliche si trovano anche nelle parlate di Roccella Valdemone, Santa Domenica Vittoria, Francavilla, Santa Lucia del Mela, San Marco d'Alunzio, Motta d'Affermo in provincia di Messina; Randazzo e Maletto sul versante occidentale dell'Etna; Caltagirone, Mirabella Imbaccari e, in misura minore, San Michele di Ganzaria, a sud della provincia di Catania; Ferla, Buccheri, Cassaro, in provincia di Siracusa; Valguarnera Caropepe, in provincia di Enna; Corleone, in provincia di Palermo.
Nel resto dell'Italia Meridionale colonie galloitaliche si trovano anche in Basilicata, dove il galloitalico è parlato in due distinte aree linguistiche, entrambe in provincia di Potenza: la prima comprende i comuni di Picerno, Tito, Pignola, Vaglio; la seconda nell'area che sovrasta il golfo di Policastro che comprende i centri di Trecchina, Rivello (con la frazione di San Costantino), e Nemoli.
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Messaggio  Flavia Vizzari Dom 19 Giu 2016 - 14:40

da Wikipedia

Tradizionalmente per chiamare questa isola linguistica alloglotta gallo-italica all'interno della Sicilia era in uso anche la definizione di Sicilia lombarda o Lombardia siciliana, da cui le espressioni in uso ancora oggi di "colonie lombarde di Sicilia", "comuni lombardi di Sicilia" e "dialetti lombardi di Sicilia". L'aggettivo "lombardo" è da considerarsi pura contrazione di "longobardo", termine col quale in passato ci si riferiva geograficamente a tutta l'Italia Settentrionale conquistata dai Longobardi a partire dal VI secolo d.C. (la Longobardia, detta anche Regno dei Longobardi o Regno di Lombardia), un territorio molto più vasto dell'attuale Lombardia.
La formazione di queste isole linguistiche alloglotte in Sicilia risale al periodo normanno, in cui gli Altavilla favorirono un processo di latinizzazione della Sicilia incoraggiando una politica d'immigrazione della loro gentes, francese (normanni, provenzali e bretoni[3]) e dell'Italia settentrionale (detti lombardi, ma prevalentemente piemontesi e liguri) con la concessione di terre e privilegi.
Dalla fine dell'XI secolo, la Sicilia centrale e orientale furono così ripopolate con coloni e soldati del nord Italia, provenienti da un'area comprendente tutto il Monferrato storico in Piemonte, parte dell'entroterra ligure di ponente, e piccole porzioni delle zone occidentali di Lombardia ed Emilia. Secondo molti studiosi[4], la migrazione di genti del nord Italia in queste isole linguistiche siciliane sarebbe poi continuata fino a tutto il XIII secolo.
La parlata di questi coloni provenienti dal nord Italia si è mantenuta a lungo in Sicilia, anche se le isole linguistiche createsi hanno cominciato a essere erose dall'impatto, prima, con i dialetti siciliani, e in tempi più recenti, con quello della televisione e della scuola dell'obbligo, prospettando il concreto pericolo di una scomparsa di questa antica e preziosa testimonianza storica e glottologica siciliana.
I principali centri con parlata galloitalica in Sicilia sono: Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina, Valguarnera Caropepe e Aidone in provincia di Enna; San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Novara di Sicilia, Fondachelli-Fantina, Montalbano Elicona, Tripi in provincia di Messina.
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