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Pagina 1 di 1
Re: Giuseppe Greco
E' NATU, FINARMENTE, NU VAGNONE
'Ccumènza a pprima sira cu diegna
nuveje all'aria, 'u sule,
e 'ndora, poi, t'argentu li furneddhri.
Se mmùtene li crandi e li piccicchi
'rretu 'na stella e fùscene cantandu
versu 'na crutta.
E' natu, finalmente, nu Vagnone
beddhru,
t'ogne tiempu e dd'ogne razza,
Quiddhru
ca ne 'nvita e ca ne 'mbrazza
lu celu cu lla terra
a nu mumentu.
'Himu 'mpizzatu 'e ricche
cu santìmu
ddhra Uce
ca ne cunta te speranza
ddhra Luce
ca ne dduma quandu è notte
la via te petre e scràscie
ddhra Verità
ca, scusa int'ra le cose,
se 'nfaccia a la 'nnucènzia.
E lu core
se nde zzumpa te 'llecrìa.
Giuseppe Greco
Paràbita (LE)
http://www.premiopoesianatale.it/poesie/%E8%20natu%20finarmente.htm
'Ccumènza a pprima sira cu diegna
nuveje all'aria, 'u sule,
e 'ndora, poi, t'argentu li furneddhri.
Se mmùtene li crandi e li piccicchi
'rretu 'na stella e fùscene cantandu
versu 'na crutta.
E' natu, finalmente, nu Vagnone
beddhru,
t'ogne tiempu e dd'ogne razza,
Quiddhru
ca ne 'nvita e ca ne 'mbrazza
lu celu cu lla terra
a nu mumentu.
'Himu 'mpizzatu 'e ricche
cu santìmu
ddhra Uce
ca ne cunta te speranza
ddhra Luce
ca ne dduma quandu è notte
la via te petre e scràscie
ddhra Verità
ca, scusa int'ra le cose,
se 'nfaccia a la 'nnucènzia.
E lu core
se nde zzumpa te 'llecrìa.
Giuseppe Greco
Paràbita (LE)
http://www.premiopoesianatale.it/poesie/%E8%20natu%20finarmente.htm
Re: Giuseppe Greco
Giuseppe Greco, la lingua dialettale
Poesia/ Giuseppe Greco“Traini te maravije/ Misteri te culori te tanti jaggi. Poisie”
http://artevizzari.italianoforum.com/testi-e-pubblicazioni-f9/traini-te-maravije-di-giuseppe-greco-t644.htm
Un libro di 48 pagine di testi e 48 di immagini in quadricromia delle stesse liriche nella composizione colorata. Giuseppe (Pippi) Greco tiene a precisare che si tratta di una «raccolta d’opere di segni-colori-parole, tecnica mista/ dialetto di Parabita/ dialetto e italiano/ italiano».
Giuseppe Greco, in questi anni, mi sono abituato a vederlo vivere come un umile fraticello (nel senso francescano) che compone i suoi versi in vernacolo per poi presentarli ai suoi occasionali lettori e aspettare da loro un giudizio. Mai che l’abbia visto fregiarsi di questa o di quest’altra onorificenza; perfino gli stessi primi premi, da lui vinti in importanti concorsi di poesia, li cita con discrezione, quasi sotto voce.
La meraviglia nella lingua
Maurizio Nocera
C’è stato un tempo in cui Giuseppe Greco si faceva chiamare Josè Amaz Greco, con l’accento sulla o, quasi a dare un senso di esotico al suo nome. Tutti noi, a quel tempo, giovani come lui (ma forse lo siamo ancora – almeno nella mente – con i nostri 60 anni suonati) conoscevamo Josè per la sua bravura nel dipingere e disegnare, e soprattutto nel ritrarre gli amici. Tanto era il suo amore per l’arte che sarebbe stato ovvio per lui finire ad insegnare in una scuola come gli è poi accaduto di fare per 35 anni nell’Istituto Statale d’Arte parabitano.
Parabita, l’antica messapica Bavota, è la sua amata città, culla e madre di non poche genialità non solo nel campo dell’arte (penso al pittore e critico e storico dell’arte Enrico Giannelli, nato sì ad Alezio nel 1854 ma vissuto per tutta la vita e poi morto a Parabita nel 1945), ma anche in quella dell’umane lettere (penso al grande Ascanio Lenio, detto il Salentino che, nel 1531, pubblicò a Venezia il poema epico-cavalleresco “Oronte gigante ”), e culla anche di buoni poeti come, ad esempio, Rocco Cataldi, Cesare Giannelli, Tommaso Ravenna, altri ancora.
Quand’eravamo giovani, sapevamo poco dell’attività poetica di Giuseppe (Pippi) Greco, e lui, per la verità, data l’indole schiva ed essendo piuttosto defilato, nulla ci faceva trapelare. Ma, ad un certo punto della nostra vita, egli ha cominciato a donarci, quasi in modo giustificativo, delle bustine di plastica porta-santini, solo che al posto delle immaginette c’erano dei versi incorniciati ora di colori a pastello ora acquerellati. Sempre come si fa con i documenti importanti, Giuseppe poneva, a fine lirica, il suo nome e cognome, il giorno e non poche volte anche l’ora di composizione. Il motivo vero di questo suo comportamento non era tanto nel farci sapere che lui componeva versi, ma verificare le nostre reazioni rispetto a quello che di lui andavamo leggendo.
Bustine di versi
Per anni, forse a partire dal 1983, data della sua prima bustina – “’U specchiu sape” –, ho esortato Pippi a pubblicare in un libro le sue liriche in vernacolo. La risposta era sempre la stessa:
«Ma sai, con questa poesia ho vinto tale premio in quella città, con quell’altra ho vinto tal’altro premio, ...». E per quanto riguarda la pubblicazione, anche in questo caso, sempre delle mezze risposte del tipo: «Ma, mo’ vediamo»; «Sì, è vero, ci devo pensare seriamente»; e giù altre giustificazioni. Mai un dato certo, mai una risposta concreta. Poi, ad un certo punto – anno 2008 – finalmente Pippi mi telefona e mi dice: «Ho stampato il libro. È stata l’associazione “Progetto Parabita” che l’ha proposto e curato».
«Finalmente!», dico io, «Finalmente Pippi Greco. Quanta attesa e quanto difficile mi è parso questo parto!».
Ma perché Pippi ha atteso tanto a pubblicare? Fondamentalmente – almeno così io penso –nonostante i numerosi premi ricevuti come migliore poeta in vernacolo e migliore interprete e lettore della stessa, si è sempre considerato non all’altezza di una pubblicazione vera e propria. Ovviamente, chi lo conosce e chi lo ha letto sa che questa è una condizione tipica di chi veramente crede e ama quel che fa, senza nessun trionfalismo, senza nessuna enfasi.
Per quanto mi riguarda, in questi anni, mi sono abituato a vederlo vivere come un umile fraticello (nel senso francescano) che compone i suoi versi in vernacolo per poi presentarli ai suoi occasionali lettori e aspettare da loro un giudizio. Mai che l’abbia visto fregiarsi di questa o di quest’altra onorificenza; perfino gli stessi primi premi, da lui vinti in importanti concorsi di poesia, li cita con discrezione, quasi sotto voce.
Il libro
Dunque, finalmente il libro. S’intitola “Traìni te maravije/ misteri te culori te tanti jaggi/ Poisie ” (a cura dell’Associazione Progetto Parabita, giugno 2008, pp. 90, suddivise in 48 pagine di testi e 48 di immagini in quadricromia delle stesse liriche ma nella composizione colorata). Giuseppe (Pippi) Greco ci tiene a precisare che si tratta di una «raccolta d’opere di segni-colori-parole, tecnica mista/ dialetto di Parabita/ dialetto e italiano/ italiano». La traduzione del vernacolo è affidata a Giuliana Coppola, che riesce a conferire ai versi un ottimo italiano, mentre la prefazione è di Donato Valli che, infallibile come sempre, riesce a dissotterrare il senso vero del fare arte e poesia dell’autore. Scrive che la poesia di Giuseppe Greco rispecchia una nota di «classica sobrietà […]: poesie vivide di colori (anche il dialetto che usa senza ausili di retorica e di dottrina è, in fondo, un colore della parola), quadri densi di parole, cioè di messaggi e di tensione comunicativa. Le sue poesie si possono contemplare come si contempla un quadro; i suoi quadri si possono ascoltare come si ascolta una musica, una melodia […] Ciò significa che una stessa tensione, una comune suggestione anima le creature di Giuseppe Greco, che altro non sono se non l’oggettivazione dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Le sue poesie costituiscono un teatro di apparizioni improvvise: bastano un segno, una traccia, una vibrazione perché gli oggetti inerti si animino di una loro vita e diventino autonomi […]. La loro caratteristica sembra essere, […] una sorta di impressionismo concettuale, cioè una fantasia tutta scontata nella dimensione dell’interiorità e che per questo non sente il bisogno di trasfondersi nella dimensione della forma, che rimane familiare, discorsiva, non perde la classica misura» (pp. 3-4).
Le poesie
Nel leggere le poesie, trovo che solo una di esse (“Sciòscia ” del 14.07.1996, h. 18,57) appartiene al piccolo tesoro di bustine contenenti le liriche colorate, donatemi da Pippi negli oltre 30 anni di nostra conoscenza e amicizia. Tutte le altre non erano di mia conoscenza e ciò mi fa sospettare che di certo la sua produzione va ben oltre la quantità da me intesa. Ce ne sono alcune di un lirismo sublime e di un attaccamento alla vita stupendo. Molte hanno nei loro versi persistenti richiami alle stelle, al cielo e alla luna, un po’ come metafora dei desideri impossibili, un po’ come astri che illuminano il cammino silenzioso e notturno del poeta. Che resta sempre attacato alla sua fede (cristiana) e innamorato ardente della sua terra. In “Salentu ”, scrive: «T’azi a lla mmane e viti lu sule/ ca nsce t’intr’a mmare a lla Palascia e/ la vèspara ca tramonta/ a Santa Caterina/ Brau!/ Stu morzu te terra/ ca se stende ‘mmenzu ‘mmare/ fra la Crècia e la Calabbria/ ‘ntornisciatu te scoji erti e dde/ sàbbia fina fina/ raccoje intr’a llu core chiese ricamate/ a Lecce/ a Vèneri a Paràbiita/ ‘i Màrtiri te Òtruntu/ Caddhrìpuli e Sulitu/ Uscentu e don Tninu/ Lèuca/ San Giseppe te Cupertinu/ e llu sule/ e ccummertazzioni te stelle/ te ‘state e/ qualche fiata l’arcubbalenu culora/ te mare a mmare/ ‘sta terra bbenatitta ca ‘mbrazza/ cinca vene e/ ‘mpuza a lla ‘nchianata/ pe’ lla clorria te Cinca l’ha ‘nventata » (p. 36).
A suo tempo, il possesso del volume che, nella veste tipografica, si presenta come un piccolo gioiello dell’antica arte di Gutenberg, mi portò a verificare i titoli delle poesie del mio tesoretto, scoprendo che le poesie presso di me sono: “’U specchiu sape ” (07.07.83); “’U celu crìggiu ” (1999); “Canisci te stelle ” (15.02.01); “A lla ‘mpete ” (19.11.2001, h. 18,38); “To’ francate ” (10.2.2002, h. 00,16); “’A luna jeu tie l’addhri e lle cose ” (28.7.2002, h. 7,53), stupenda poesia composta di XV brevissime strofe, della quale Mario Marti ha scritto: «elaborata e robusta appare […] come un giuoco di immagini e di movimenti, qua e là difficile da decifrare da parte di chi legge, ma sempre ad alto livello, o quasi sempre»; ”Veni ‘cqua vanda/ ca se vite ‘a luna ” (28.10.03, h. 21,11); “Marìsciu te Natale ” (26.12.03, h. 15,12); “Ttre rose” (29.01.04, h.13,45).
Si tratta di poesie il cui significato è di un’intensità profonda. Il poeta si specchia nelle profondità abissali del cosmo per riemergere con un’umanità viva e attenta al senso della vita, al senso delle cose, della natura e di quanto di più sacro c’è per ogni buon fedele del suo Dio, e Giuseppe (Pippi) Greco è veramente un buon uomo, soprattutto un buon cristiano, la cui religiosità tocca punte di armonia sublime. Leggere “Marìsciu te Natale ” è come assistere silenzioso e assorto ad una funzione religiosa dove il parto del Bambino lo senti vicino come vivo e presente: «’A luna come ‘u sule tante fiate/ se manìscia/ cu sse mmasura sula/ a mmenzu ‘ttante stelle/ sparpajate cusì/ oltre ogni ‘ndoru/ te luci te lanterne/ ‘mpise susu susu a ccraticciate/ intr’a teatri ‘perti intr’a a nnui/ ‘na fiata l’annu/ Tie/ a mmanu ‘na francate te culori/ cu pitti maravije/ ‘ncartate/ comu ricali/ pe’ nnui/ ca ddisegnamu ùli te comete e/ nne prasciamu/ a rretu ‘lli Re Mmaggi/ manu cu mmanu mentru/ ‘ luna/ ne ùnge tutt’e sire te misteri/ te luce janca janca ».
Il cielo grigio
Ma c’è una poesia in bustina che mi ha fortemente impressionato. È del 1999. Il titolo: “’U celu crìggiu ”. In essa, il poeta esprime un desiderio, che è poi il desiderio della nostra umanità, e cioè di come noi umani possiamo cambiare in bene la nostra vita, come tentare di creare un mondo nuovo con colori che meglio si addicono alla nostra dimensione di specie. Il punto di riferimento di Giuseppe Greco è Dio nella sua immensità di creatore dell’universo e così come Dio seppe fare, il poeta ci dice di fare anche noi come lui, sia pure nel nostro piccolo, cioè crearci un nostro piccolo luogo, dove sia possibile sentirci più adatti. È possibile che qualche volta alcuni colori (occasioni della vita) possono non piacere o sembrare meno adatti alla nostra condizione di vita, ma non possiamo negarli, perché essi fanno comunque parte della nostra quotidianità e noi abbiamo la possibilità, quando essi non ci piacciono, di osservarli sotto altri aspetti, con altri occhi, con una prospettiva propria e nuova.
Nei primi versi Greco scrive che il contrasto del cielo grigio è di madreperla quando si staglia oltre l’alto del verde degli ulivi, mentre a fine poesia, annota che se a qualcuno quel grigio non dovesse piacere, può sempre immaginarselo come dipinto di celeste. Si tratta di una metafora che ci dice che noi possiamo stare bene se stiamo bene con noi stessi e se quel “noi stessi” sta bene con gli altri. Oltre la metafora. ci è data la possibilità di guardare tutte le cose, anche quelle che non ci piacciono ma, se sappiamo guardarle bene, non dovrebbe esserci difficile scoprire che in esse c’è anche qualche cosa di buono e di utile. Tutto ciò che ci circonda, in primo luogo l’immensità del cielo poetico, altro non è che il riflesso del nostro stato d’animo. Se un giorno ci sforzeremo di essere felici anche il cielo grigio diventerà sopportabile e, nella nostra immaginazione, si tingerà di celeste.
Il cielo grigio sono i nostri sentimenti di tristezza e malinconia, ciononostante il poeta ci consiglia di avere fiducia e tanta voglia di vivere perché, prima o poi, le difficoltà si supereranno. Bisogna colorare di rosa la vita comunque essa sia, solo così possiamo vederla sotto luci diverse. La poesia – sempre – rispecchia la bellezza del creato, che si vede essenzialmente di giorno. Infatti di giorno si possono notare piccole ed insignificanti meraviglie che non potremmo notare di notte come, ad esempio, il vagabondare delle nuvole. Le piccole opere sono le più grandi in quanto noi dobbiamo sapere ammirare la bellezza dell’ambiente che ci circonda. Nella vita non bisogna demoralizzarsi come quando fuori dalla finestra vediamo il cielo grigio, perché siamo noi a dargli alcune sfaccettature di colore. Basta volerlo, in fondo anche nel buio si può aprire una luce. L’importante non è quello che troviamo alla fine della salita… l’importante è quello che troviamo mentre la saliamo. I cieli grigi arrivano dentro di noi quando meno ce l’aspettiamo. A volte hanno la furia di un uragano, a vote sono lievi come brezze. Ma non si possono negare perché dopo ogni grigio c’è sempre un cielo sereno.
‘U celu criggiu
‘U celu crìggiu è ccomu ‘e matreperle
se vite cchiui te jernu quandu ‘u verde
te l’àrbuli t’ulie ete cchiu’ verde
e cquandu ‘u celu crìggiu
se strazza ìssutta ‘mmare
e dduma tanti russi e gialli e rrosa
ddisegna le nuveje vacabbonde
nui fuscimu a ssusu ìi monti erti
cu bbitimu ‘i quatri t’u Signore
e nne ‘nguacchiamu te luce te tanta luce
a lla nchianata
ma a ttie ci nu tte piace
‘u celu crìggiu
pija t’intr’a ttie
nu picca te celeste e
ddani ‘na llappata.
http://salentopoesia.blogspot.com/2009/10/giuseppe-greco-la-lingua-dialettale.html
Poesia/ Giuseppe Greco“Traini te maravije/ Misteri te culori te tanti jaggi. Poisie”
http://artevizzari.italianoforum.com/testi-e-pubblicazioni-f9/traini-te-maravije-di-giuseppe-greco-t644.htm
Un libro di 48 pagine di testi e 48 di immagini in quadricromia delle stesse liriche nella composizione colorata. Giuseppe (Pippi) Greco tiene a precisare che si tratta di una «raccolta d’opere di segni-colori-parole, tecnica mista/ dialetto di Parabita/ dialetto e italiano/ italiano».
Giuseppe Greco, in questi anni, mi sono abituato a vederlo vivere come un umile fraticello (nel senso francescano) che compone i suoi versi in vernacolo per poi presentarli ai suoi occasionali lettori e aspettare da loro un giudizio. Mai che l’abbia visto fregiarsi di questa o di quest’altra onorificenza; perfino gli stessi primi premi, da lui vinti in importanti concorsi di poesia, li cita con discrezione, quasi sotto voce.
La meraviglia nella lingua
Maurizio Nocera
C’è stato un tempo in cui Giuseppe Greco si faceva chiamare Josè Amaz Greco, con l’accento sulla o, quasi a dare un senso di esotico al suo nome. Tutti noi, a quel tempo, giovani come lui (ma forse lo siamo ancora – almeno nella mente – con i nostri 60 anni suonati) conoscevamo Josè per la sua bravura nel dipingere e disegnare, e soprattutto nel ritrarre gli amici. Tanto era il suo amore per l’arte che sarebbe stato ovvio per lui finire ad insegnare in una scuola come gli è poi accaduto di fare per 35 anni nell’Istituto Statale d’Arte parabitano.
Parabita, l’antica messapica Bavota, è la sua amata città, culla e madre di non poche genialità non solo nel campo dell’arte (penso al pittore e critico e storico dell’arte Enrico Giannelli, nato sì ad Alezio nel 1854 ma vissuto per tutta la vita e poi morto a Parabita nel 1945), ma anche in quella dell’umane lettere (penso al grande Ascanio Lenio, detto il Salentino che, nel 1531, pubblicò a Venezia il poema epico-cavalleresco “Oronte gigante ”), e culla anche di buoni poeti come, ad esempio, Rocco Cataldi, Cesare Giannelli, Tommaso Ravenna, altri ancora.
Quand’eravamo giovani, sapevamo poco dell’attività poetica di Giuseppe (Pippi) Greco, e lui, per la verità, data l’indole schiva ed essendo piuttosto defilato, nulla ci faceva trapelare. Ma, ad un certo punto della nostra vita, egli ha cominciato a donarci, quasi in modo giustificativo, delle bustine di plastica porta-santini, solo che al posto delle immaginette c’erano dei versi incorniciati ora di colori a pastello ora acquerellati. Sempre come si fa con i documenti importanti, Giuseppe poneva, a fine lirica, il suo nome e cognome, il giorno e non poche volte anche l’ora di composizione. Il motivo vero di questo suo comportamento non era tanto nel farci sapere che lui componeva versi, ma verificare le nostre reazioni rispetto a quello che di lui andavamo leggendo.
Bustine di versi
Per anni, forse a partire dal 1983, data della sua prima bustina – “’U specchiu sape” –, ho esortato Pippi a pubblicare in un libro le sue liriche in vernacolo. La risposta era sempre la stessa:
«Ma sai, con questa poesia ho vinto tale premio in quella città, con quell’altra ho vinto tal’altro premio, ...». E per quanto riguarda la pubblicazione, anche in questo caso, sempre delle mezze risposte del tipo: «Ma, mo’ vediamo»; «Sì, è vero, ci devo pensare seriamente»; e giù altre giustificazioni. Mai un dato certo, mai una risposta concreta. Poi, ad un certo punto – anno 2008 – finalmente Pippi mi telefona e mi dice: «Ho stampato il libro. È stata l’associazione “Progetto Parabita” che l’ha proposto e curato».
«Finalmente!», dico io, «Finalmente Pippi Greco. Quanta attesa e quanto difficile mi è parso questo parto!».
Ma perché Pippi ha atteso tanto a pubblicare? Fondamentalmente – almeno così io penso –nonostante i numerosi premi ricevuti come migliore poeta in vernacolo e migliore interprete e lettore della stessa, si è sempre considerato non all’altezza di una pubblicazione vera e propria. Ovviamente, chi lo conosce e chi lo ha letto sa che questa è una condizione tipica di chi veramente crede e ama quel che fa, senza nessun trionfalismo, senza nessuna enfasi.
Per quanto mi riguarda, in questi anni, mi sono abituato a vederlo vivere come un umile fraticello (nel senso francescano) che compone i suoi versi in vernacolo per poi presentarli ai suoi occasionali lettori e aspettare da loro un giudizio. Mai che l’abbia visto fregiarsi di questa o di quest’altra onorificenza; perfino gli stessi primi premi, da lui vinti in importanti concorsi di poesia, li cita con discrezione, quasi sotto voce.
Il libro
Dunque, finalmente il libro. S’intitola “Traìni te maravije/ misteri te culori te tanti jaggi/ Poisie ” (a cura dell’Associazione Progetto Parabita, giugno 2008, pp. 90, suddivise in 48 pagine di testi e 48 di immagini in quadricromia delle stesse liriche ma nella composizione colorata). Giuseppe (Pippi) Greco ci tiene a precisare che si tratta di una «raccolta d’opere di segni-colori-parole, tecnica mista/ dialetto di Parabita/ dialetto e italiano/ italiano». La traduzione del vernacolo è affidata a Giuliana Coppola, che riesce a conferire ai versi un ottimo italiano, mentre la prefazione è di Donato Valli che, infallibile come sempre, riesce a dissotterrare il senso vero del fare arte e poesia dell’autore. Scrive che la poesia di Giuseppe Greco rispecchia una nota di «classica sobrietà […]: poesie vivide di colori (anche il dialetto che usa senza ausili di retorica e di dottrina è, in fondo, un colore della parola), quadri densi di parole, cioè di messaggi e di tensione comunicativa. Le sue poesie si possono contemplare come si contempla un quadro; i suoi quadri si possono ascoltare come si ascolta una musica, una melodia […] Ciò significa che una stessa tensione, una comune suggestione anima le creature di Giuseppe Greco, che altro non sono se non l’oggettivazione dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Le sue poesie costituiscono un teatro di apparizioni improvvise: bastano un segno, una traccia, una vibrazione perché gli oggetti inerti si animino di una loro vita e diventino autonomi […]. La loro caratteristica sembra essere, […] una sorta di impressionismo concettuale, cioè una fantasia tutta scontata nella dimensione dell’interiorità e che per questo non sente il bisogno di trasfondersi nella dimensione della forma, che rimane familiare, discorsiva, non perde la classica misura» (pp. 3-4).
Le poesie
Nel leggere le poesie, trovo che solo una di esse (“Sciòscia ” del 14.07.1996, h. 18,57) appartiene al piccolo tesoro di bustine contenenti le liriche colorate, donatemi da Pippi negli oltre 30 anni di nostra conoscenza e amicizia. Tutte le altre non erano di mia conoscenza e ciò mi fa sospettare che di certo la sua produzione va ben oltre la quantità da me intesa. Ce ne sono alcune di un lirismo sublime e di un attaccamento alla vita stupendo. Molte hanno nei loro versi persistenti richiami alle stelle, al cielo e alla luna, un po’ come metafora dei desideri impossibili, un po’ come astri che illuminano il cammino silenzioso e notturno del poeta. Che resta sempre attacato alla sua fede (cristiana) e innamorato ardente della sua terra. In “Salentu ”, scrive: «T’azi a lla mmane e viti lu sule/ ca nsce t’intr’a mmare a lla Palascia e/ la vèspara ca tramonta/ a Santa Caterina/ Brau!/ Stu morzu te terra/ ca se stende ‘mmenzu ‘mmare/ fra la Crècia e la Calabbria/ ‘ntornisciatu te scoji erti e dde/ sàbbia fina fina/ raccoje intr’a llu core chiese ricamate/ a Lecce/ a Vèneri a Paràbiita/ ‘i Màrtiri te Òtruntu/ Caddhrìpuli e Sulitu/ Uscentu e don Tninu/ Lèuca/ San Giseppe te Cupertinu/ e llu sule/ e ccummertazzioni te stelle/ te ‘state e/ qualche fiata l’arcubbalenu culora/ te mare a mmare/ ‘sta terra bbenatitta ca ‘mbrazza/ cinca vene e/ ‘mpuza a lla ‘nchianata/ pe’ lla clorria te Cinca l’ha ‘nventata » (p. 36).
A suo tempo, il possesso del volume che, nella veste tipografica, si presenta come un piccolo gioiello dell’antica arte di Gutenberg, mi portò a verificare i titoli delle poesie del mio tesoretto, scoprendo che le poesie presso di me sono: “’U specchiu sape ” (07.07.83); “’U celu crìggiu ” (1999); “Canisci te stelle ” (15.02.01); “A lla ‘mpete ” (19.11.2001, h. 18,38); “To’ francate ” (10.2.2002, h. 00,16); “’A luna jeu tie l’addhri e lle cose ” (28.7.2002, h. 7,53), stupenda poesia composta di XV brevissime strofe, della quale Mario Marti ha scritto: «elaborata e robusta appare […] come un giuoco di immagini e di movimenti, qua e là difficile da decifrare da parte di chi legge, ma sempre ad alto livello, o quasi sempre»; ”Veni ‘cqua vanda/ ca se vite ‘a luna ” (28.10.03, h. 21,11); “Marìsciu te Natale ” (26.12.03, h. 15,12); “Ttre rose” (29.01.04, h.13,45).
Si tratta di poesie il cui significato è di un’intensità profonda. Il poeta si specchia nelle profondità abissali del cosmo per riemergere con un’umanità viva e attenta al senso della vita, al senso delle cose, della natura e di quanto di più sacro c’è per ogni buon fedele del suo Dio, e Giuseppe (Pippi) Greco è veramente un buon uomo, soprattutto un buon cristiano, la cui religiosità tocca punte di armonia sublime. Leggere “Marìsciu te Natale ” è come assistere silenzioso e assorto ad una funzione religiosa dove il parto del Bambino lo senti vicino come vivo e presente: «’A luna come ‘u sule tante fiate/ se manìscia/ cu sse mmasura sula/ a mmenzu ‘ttante stelle/ sparpajate cusì/ oltre ogni ‘ndoru/ te luci te lanterne/ ‘mpise susu susu a ccraticciate/ intr’a teatri ‘perti intr’a a nnui/ ‘na fiata l’annu/ Tie/ a mmanu ‘na francate te culori/ cu pitti maravije/ ‘ncartate/ comu ricali/ pe’ nnui/ ca ddisegnamu ùli te comete e/ nne prasciamu/ a rretu ‘lli Re Mmaggi/ manu cu mmanu mentru/ ‘ luna/ ne ùnge tutt’e sire te misteri/ te luce janca janca ».
Il cielo grigio
Ma c’è una poesia in bustina che mi ha fortemente impressionato. È del 1999. Il titolo: “’U celu crìggiu ”. In essa, il poeta esprime un desiderio, che è poi il desiderio della nostra umanità, e cioè di come noi umani possiamo cambiare in bene la nostra vita, come tentare di creare un mondo nuovo con colori che meglio si addicono alla nostra dimensione di specie. Il punto di riferimento di Giuseppe Greco è Dio nella sua immensità di creatore dell’universo e così come Dio seppe fare, il poeta ci dice di fare anche noi come lui, sia pure nel nostro piccolo, cioè crearci un nostro piccolo luogo, dove sia possibile sentirci più adatti. È possibile che qualche volta alcuni colori (occasioni della vita) possono non piacere o sembrare meno adatti alla nostra condizione di vita, ma non possiamo negarli, perché essi fanno comunque parte della nostra quotidianità e noi abbiamo la possibilità, quando essi non ci piacciono, di osservarli sotto altri aspetti, con altri occhi, con una prospettiva propria e nuova.
Nei primi versi Greco scrive che il contrasto del cielo grigio è di madreperla quando si staglia oltre l’alto del verde degli ulivi, mentre a fine poesia, annota che se a qualcuno quel grigio non dovesse piacere, può sempre immaginarselo come dipinto di celeste. Si tratta di una metafora che ci dice che noi possiamo stare bene se stiamo bene con noi stessi e se quel “noi stessi” sta bene con gli altri. Oltre la metafora. ci è data la possibilità di guardare tutte le cose, anche quelle che non ci piacciono ma, se sappiamo guardarle bene, non dovrebbe esserci difficile scoprire che in esse c’è anche qualche cosa di buono e di utile. Tutto ciò che ci circonda, in primo luogo l’immensità del cielo poetico, altro non è che il riflesso del nostro stato d’animo. Se un giorno ci sforzeremo di essere felici anche il cielo grigio diventerà sopportabile e, nella nostra immaginazione, si tingerà di celeste.
Il cielo grigio sono i nostri sentimenti di tristezza e malinconia, ciononostante il poeta ci consiglia di avere fiducia e tanta voglia di vivere perché, prima o poi, le difficoltà si supereranno. Bisogna colorare di rosa la vita comunque essa sia, solo così possiamo vederla sotto luci diverse. La poesia – sempre – rispecchia la bellezza del creato, che si vede essenzialmente di giorno. Infatti di giorno si possono notare piccole ed insignificanti meraviglie che non potremmo notare di notte come, ad esempio, il vagabondare delle nuvole. Le piccole opere sono le più grandi in quanto noi dobbiamo sapere ammirare la bellezza dell’ambiente che ci circonda. Nella vita non bisogna demoralizzarsi come quando fuori dalla finestra vediamo il cielo grigio, perché siamo noi a dargli alcune sfaccettature di colore. Basta volerlo, in fondo anche nel buio si può aprire una luce. L’importante non è quello che troviamo alla fine della salita… l’importante è quello che troviamo mentre la saliamo. I cieli grigi arrivano dentro di noi quando meno ce l’aspettiamo. A volte hanno la furia di un uragano, a vote sono lievi come brezze. Ma non si possono negare perché dopo ogni grigio c’è sempre un cielo sereno.
‘U celu criggiu
‘U celu crìggiu è ccomu ‘e matreperle
se vite cchiui te jernu quandu ‘u verde
te l’àrbuli t’ulie ete cchiu’ verde
e cquandu ‘u celu crìggiu
se strazza ìssutta ‘mmare
e dduma tanti russi e gialli e rrosa
ddisegna le nuveje vacabbonde
nui fuscimu a ssusu ìi monti erti
cu bbitimu ‘i quatri t’u Signore
e nne ‘nguacchiamu te luce te tanta luce
a lla nchianata
ma a ttie ci nu tte piace
‘u celu crìggiu
pija t’intr’a ttie
nu picca te celeste e
ddani ‘na llappata.
http://salentopoesia.blogspot.com/2009/10/giuseppe-greco-la-lingua-dialettale.html
Re: Giuseppe Greco
Sabato 5 dicembre 2009, nello Spazio Archi-Cultura di Maglie, si è tenuto un incontro dedicato al poeta parabitano Giuseppe Greco e che ha visto la partecipazione di un vasto e caloroso pubblico. La serata si è subito orientata verso atmosfere familiari e sognanti. Lo stesso poeta, con la sua ormai nota abilità di porgere i propri versi, che nulla ha a che fare con le tecniche declamatorie, ma si giova esclusivamente della stessa sostanza dalla quale nascono le sue poesie, ha esordito con All’ampete. Così, “a piedi”, con questa metafora della lentezza e della misura, incedendo fisicamente tra il pubblico, Greco ha pennellato anche con la voce quei quadretti di un “pensiero meridiano” che le sue poesie esaltano. Competente e senza inutili ridondanze il commento di Maurizio Nocera, il quale ha innanzitutto tracciato una linea storica della produzione poetica nel Salento a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, quando questa Terra, marginale ed emarginata, sembrava ai salentini stessi non poter produrre nulla di nuovo, così che molti creativi furono tentati di fuggire al Nord per cercare luci e suoni che qui sembravano negati, finché ci si è resi conto che tra le vette altissime di Comi, il respiro internazionale di Pagano e Bodini, si rigenerava ed espandeva una attitudine poetica antica che ci avrebbe dato i Toma, De Donno, Verri, per restare soltanto alla Poesia che ha lasciato la traccia più marcata. In questa scia feconda arriva la poesia dialettale di Greco, nella quale Donato Valli ha colto “l’incanto dell’incanto dell’infanzia”, e che perciò non può non destare stupore anche nello smaliziato spettatore del terzo millennio, scompaginando quello che appare come un inesorabile scivolamento alla prostituzione della nostra cultura, nel farsi subalterna di altre. Greco poeta molto ha copiato dal Greco pittore, molto egli ha preso dalla tavolozza, trasformando colori in parole e versi, con i quali illustrare semplici immagini, immagini su immagini, magari sempre le stesse, ma fissate indelebilmente, grazie ai congegni del verso pensato e ripensato, capace, così, di creare il movimento all’interno di questa sorta di lanterna magica del cinematografo nascente, e nel proiettare queste scene delicatamente evocative, sollecitare ad andare a ritrovare quel tanto ancora presente e ben sedimentato nel cuore dei salentini. Nei versi di Greco si riconoscono panorami noti, residui importanti di una memoria che non può passare, da preservare come fonte vitale. Eppure non è un balsamo da consumarsi solo in una dimensione localistica. Giuseppe Greco, pur con quello che potrebbe sembrare un limite, vale a dire l’uso del dialetto parabitano, tocca corde che appartengono all’infanzia della civiltà, e ciò non è antimodernità, bensì una valutazione più articolata del moderno, un candido ritorno alla misura e ai limiti, infine la tutela del sacro. Concludendo la serata, altri versi, tra i suoi più noti, ha regalato Giuseppe Greco al pubblico, fino a Marìsciu te Natale: Tie /a mmanu ‘na francata te culori / cu ppitti maravije ‘ncartate / comu ricali pe’ nnui / ca ddisegnamu ùli te cumete e / nne prasciamu a rretu / ‘lli Re Mmaggi manu cu mmanu / mentru ‘a luna / ne ùnge tutt’e sire te misteri / te luce janca janca.
Cristina Martinelli
http://galatina2000.it/Il-Galatino-Anno-XLIII-n%C2%B0-1-del-15-01-2010/la-poesia-di-giuseppe-greco.html
Cristina Martinelli
http://galatina2000.it/Il-Galatino-Anno-XLIII-n%C2%B0-1-del-15-01-2010/la-poesia-di-giuseppe-greco.html
Re: Giuseppe Greco
Scioscia
Nu me ddumandare mie
ca ‘ncora portu
traìni te meravije,
‘A vita
ne ‘llucisce
misteri te culori
te tanti jaggi
cu lli stessi fazzuletti
li sbaji, le bbuscìe
le friseddhre te ‘na sira
caracàte te rienu ‘nnansi ‘mmare
pittandu àngili e
buttije
Ci sa’ cu ppensi ‘ncora ca la luna
‘ntornisciata te stelle tutt’ ‘e sire
babba
a ‘nnansi ‘u sule
ca la dduma
raccoji
matreperle te pansieri
e mìnele a llu jentu
comu sempre,
scìoscia.
Giuseppe Greco
http://www.parabitalife.com/index.php?option=com_content&view=article&id=1192:la-poesia-di-giuseppe-greco-premiata-a-pisa&catid=60:poesie&Itemid=139
Re: Giuseppe Greco
http://www.unigalatina.it/index.php?option=com_content&view=article&id=252:lezione-di-gino-pisano-la-poesia-di-giuseppe-greco-con-letture-dellautore&catid=68:anno-201011&Itemid=55
Video con l'autore Giuseppe Greco, che declama alcune tra le sue più belle poesie
Re: Giuseppe Greco
Giuseppe Greco
Autori
Venerdì 24 Dicembre 2010 09:32
Scenografo, ha compiuto gli studi all’Accademia di Belle Arti di Lecce. Docente di Teoria e Applicazioni di Geometria Descrittiva e Rilievo Architettonico presso l’Istituto Statale d’Arte di Parabita.
Accademico Benemerito della NORMAN ACADEMY.
Ha partecipato a Rassegne Nazionali e Internazionali di Pittura e Scultura ed a Concorsi di Poesia, ricevendo premi e riconoscimenti, tra cui, per la Poesia (in Dialetto di Paràbita - Lecce - Puglia e in Lingua Italiana) ha vinto:
Ø Città di Melendugno, MELENDUGNO (Lecce), 1996.
Ø Antonio Sforza, OTRANTO (Lecce), 1996.
Ø Guido Modena, SAN FELICE SUL PANARO (Modena), 1997 – Vincitore per la Regione Puglia.
Ø Città di Bari, BARI, 1999.
Ø Poesia Dialettale d’Italia, SENIGALLIA (Ancona), 2000, 2001,2002, 2004, 2009.
Ø Natale, TREMESTIERI ETNEO (Catania), 2000.
Ø Torre Pendente 2002, PISA, 2002.
Ø Premio Madre Terra, Sorella Acqua, ASSISI (Perugia), 2003, 2004.
Ø Premio Santa Rita, CASCIA (Perugia), 2004.
Ø Una Poesia per Natale, CASARANO (Lecce), 2004.
Ø Ruggero II, ROMA, 2005 – Diploma di Dottore honoris causa della THE RUGGERO II UNIVERSITY STUDIORUM UNIVERSITAS RUGGERO II, per la poesia Marìsciu te Natale.
Ø Premio Clitumno, SPOLETO (Perugia), 2007.
Ø Massimo D’Azeglio, BARLETTA (Bari), 2010.
Ø Città di Bitetto, BITETTO (Bari), 2010.
Altri premi e segnalazioni di merito:
Ø Salento, PARABITA (Lecce), 1970 (con lo pseudonimo di José Greco).
Ø Convivio Letterario di Milano, LECCE, 1976 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø Convivio Letterario di Milano, OTRANTO (Lecce), 1977 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø 1^ Antenna d’Oro, GALLIPOLI (Lecce), 1977 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø Benedetto Romano, LECCE, 1979 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø Salvatore Martano, LECCE, 1979 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø VIII Centenario della nascita di San Francesco d’Assisi 1182-1982, PARABITA (Lecce), 1982 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø Ogni uomo è mio fratello, GALLIPOLI (Lecce), 1996.
Ø Città di Sogliano Cavour, SOGLIANO CAVOUR (Lecce), 1996, 1997.
Ø Santa Maria della Luce, LECCE, 1997.
Ø Città di Rotello, ROTELLO (Campobasso), 1997.
Ø Innocenza Silvaggi, ROMA, 1997, 1998.
Ø San Valentino, BAGHERIA (Palermo), 1999.
Ø Rocca dell’Arte, TERNI, 1999, 2001.
Ø Città di Bitetto, BITETTO (Bari), 1999.
Ø Con Gesù: Ut unum sint, ISCHIA (Napoli), 1999.
Ø Città di Cava, CAVA DE’ TIRRENI (Salerno), 1997,1998,1999.
Ø Ermanno Minardi, PARMA, 1997.
Ø San Valentino, TERNI, 1997, 1998, 1999, 2000, 2007, 2008.
Ø Città di Lecce, LECCE, 1998, 2002, 2004, 2005, 2006.
Ø Laurentum, ROMA, 1998.
Ø Nel 2000 con Gesù Buon Pastore, ISCHIA (Napoli), 1998.
Ø L’uomo e il mare, GALLIPOLI (Lecce), 1996,1997,1998.
Ø Luigi Santocchia, TERNI, 1998.
Ø La Piazzeta, SALERNO, 1999.
Ø Giuseppe Stefanizzi, SOGLIANO CAVOUR (Lecce), 1997, 1999, 2002, 2005.
Ø Serena Letizia nel 2000, BAGHERIA (Palermo), 2000.
Ø Artepoesia a Montepulciano, MONTEPULCIANO (Siena), 2000.
Ø L’Acàlypha, PALERMO, 2001.
Ø Una goccia di sangue per la vita, LECCE, 2001.
Ø Massimo D’Azeglio, BARLETTA (Bari), 2001, 2002, 2004, 2005, 2008, 2009.
Ø Litorale Pisano, MARINA DI PISA (Pisa), 2001, 2003, 2004, 2006.
Ø Bèla Spèza, LA SPEZIA, 2002, 2003.
Ø Marilianum, MARIGLIANO (Napoli), 2002.
Ø Ripa Grande, ROMA, 2002.
Ø Santuario Assunzione B.V. Maria in Arcagna, MONTANASO LOMBARDO (Lodi), 1997, 1999.
Ø Tuscolorum, OLEVANO SUL TUSCIANO (Salerno), 1998.
Ø Creatività Itinerante Bari, RODI GARGANICO (Foggia), 2002. Creatività Itinerante Bari, GALLIPOLI (Lecce), 2004.
Ø Madonna di Montalto, MESSINA, 1998, 2001, 2002, 2003, 2004.
Ø Città di Bari, BARI, 2000, 2001, 2002.
Ø Osservatorio, BARI, 2001.
Ø Nino Palumbo, BARI, 2001.
Ø Ruggero II, ROMA, 2002.
Ø Penisola Sorrentina, PIANO DI SORRENTO (Napoli), 2001, 2002, 2003.
Ø Lodoletta Pini, PISA, 2002, 2004.
Ø Histonium, VASTO (Chieti), 2002, 2004.
Ø Versi per la vita, Bari, 2002.
Ø Paestum, MERCATO SAN SEVERINO (Salerno), 2002.
Ø Il Volto della Natura, VICENZA, 2002.
Ø Nosside, REGGIO CALABRIA, 2002.
Ø Histonium, VASTO (Chieti), 2003 – Premio Speciale unico per la Regione Puglia.
Ø Poesia Dialettale, SENIGALLIA (Ancona, 2003, 2006, 2010.
Ø Premio Clitumno, SPOLETO (Perugia), 2003.
Ø Torre Pendente, PISA, 2004, 2005, 2006.
Ø Premio Madre Terra, Sorella Acqua, ASSISI (Perugia), 2005, 2006.
Ø Massimo D’Azeglio, BARLETTA (Bari), 2006 – Vincitore Premio Speciale Ad Majora.
Ø A.N.M.I., GALLIPOLI (Lecce), 2005, 2006, 2007.
Ø Augusta Perusia – Grifo d’Oro, PERUGIA, 2008, 2009.
Sue poesie sono apparse su pubblicazioni varie e su molti suoi disegni. Alcuni versi sono apparsi in note e articoli di giornali. Le poesie di questa raccolta, ed altre, sono apparse su fogli, cartoncini con interpretazioni grafico-coloristiche, molte su fascicoli dello stesso autore, alcune in installazioni su fogli di grandi dimensioni, in mostre d’arte, ed altre in attività e manifestazioni culturali varie.
I vv. 14-25 della poesia 1982 sono stati riprodotti sul Monumento a San Francesco in SPONGANO (Lecce) (con lo Pseudonimo di José Amaz Greco), e,
la poesia Matonna t’a Cutura è stata incisa su una lastra di travertino ai piedi del Monumento della Madonna della Coltura in PARABITA (Lecce).
E’ autore di traìni te maravije misteri te culori te tanti jaggi poisie raccolta d’opere di segni-colori-parole, tecnica mista, dialetto di Parabita/ dialetto e italiano/ italiano, Traduzioni in lingua italiana di Giuliana Coppola, Prefazione di Donato Valli, Associazione Progetto Parabita, 2008, (T’a’ mmutata, Nc’è nnu celu ‘cqua’ nnui, Sciòscia, Cumete, Certe matine, Osci bbèspara, ‘Ste malizziuse, Sciurnate, Intr’a curiera, Te marzu, ‘A luna janca, Ci stai ssattatu a rretu ‘nna fanèscia, Vecchiareddhru, ‘Mbriacu, ‘I vagnuni, Primavera, A ffiate, Cisape, Nsiddhrisciatu te stelle, Tornu tornu a bbui, Il tempo ti accarezza, Tornano al cielo i giorni, Poesie di carta, Tiempu ‘rretu, Tie ddevinavi sempre, Màncane to’ minuti, Alla musa, Osci, Te mandu nu pansieri, Salentu, A ffiate scarcagnizzu, ‘A stella cchiu’ ddumata, ‘A luna, Eccula, èccula la luna, Ricalu disegnatu su’ ddhra petra (Matonna t’a Cutura), Pasca).
Sue opere si trovano in Italia e all’estero, tra cui:
Chiesa Madre, GALATONE (Lecce). Chiesa delle Anime, PARABITA (Lecce). Pinacoteca “Enrico Giannelli” PARABITA (Lecce). Parrocchia Maria Muteru Muikaria wa Arimi, WAMAGANA (Nyeri) KENYA.
http://www.unigalatina.it/index.php?option=com_content&view=article&id=215:giuseppe-greco&catid=36:autori&Itemid=63
Autori
Venerdì 24 Dicembre 2010 09:32
Scenografo, ha compiuto gli studi all’Accademia di Belle Arti di Lecce. Docente di Teoria e Applicazioni di Geometria Descrittiva e Rilievo Architettonico presso l’Istituto Statale d’Arte di Parabita.
Accademico Benemerito della NORMAN ACADEMY.
Ha partecipato a Rassegne Nazionali e Internazionali di Pittura e Scultura ed a Concorsi di Poesia, ricevendo premi e riconoscimenti, tra cui, per la Poesia (in Dialetto di Paràbita - Lecce - Puglia e in Lingua Italiana) ha vinto:
Ø Città di Melendugno, MELENDUGNO (Lecce), 1996.
Ø Antonio Sforza, OTRANTO (Lecce), 1996.
Ø Guido Modena, SAN FELICE SUL PANARO (Modena), 1997 – Vincitore per la Regione Puglia.
Ø Città di Bari, BARI, 1999.
Ø Poesia Dialettale d’Italia, SENIGALLIA (Ancona), 2000, 2001,2002, 2004, 2009.
Ø Natale, TREMESTIERI ETNEO (Catania), 2000.
Ø Torre Pendente 2002, PISA, 2002.
Ø Premio Madre Terra, Sorella Acqua, ASSISI (Perugia), 2003, 2004.
Ø Premio Santa Rita, CASCIA (Perugia), 2004.
Ø Una Poesia per Natale, CASARANO (Lecce), 2004.
Ø Ruggero II, ROMA, 2005 – Diploma di Dottore honoris causa della THE RUGGERO II UNIVERSITY STUDIORUM UNIVERSITAS RUGGERO II, per la poesia Marìsciu te Natale.
Ø Premio Clitumno, SPOLETO (Perugia), 2007.
Ø Massimo D’Azeglio, BARLETTA (Bari), 2010.
Ø Città di Bitetto, BITETTO (Bari), 2010.
Altri premi e segnalazioni di merito:
Ø Salento, PARABITA (Lecce), 1970 (con lo pseudonimo di José Greco).
Ø Convivio Letterario di Milano, LECCE, 1976 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø Convivio Letterario di Milano, OTRANTO (Lecce), 1977 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø 1^ Antenna d’Oro, GALLIPOLI (Lecce), 1977 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø Benedetto Romano, LECCE, 1979 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø Salvatore Martano, LECCE, 1979 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø VIII Centenario della nascita di San Francesco d’Assisi 1182-1982, PARABITA (Lecce), 1982 (con lo pseudonimo di José Amaz Greco).
Ø Ogni uomo è mio fratello, GALLIPOLI (Lecce), 1996.
Ø Città di Sogliano Cavour, SOGLIANO CAVOUR (Lecce), 1996, 1997.
Ø Santa Maria della Luce, LECCE, 1997.
Ø Città di Rotello, ROTELLO (Campobasso), 1997.
Ø Innocenza Silvaggi, ROMA, 1997, 1998.
Ø San Valentino, BAGHERIA (Palermo), 1999.
Ø Rocca dell’Arte, TERNI, 1999, 2001.
Ø Città di Bitetto, BITETTO (Bari), 1999.
Ø Con Gesù: Ut unum sint, ISCHIA (Napoli), 1999.
Ø Città di Cava, CAVA DE’ TIRRENI (Salerno), 1997,1998,1999.
Ø Ermanno Minardi, PARMA, 1997.
Ø San Valentino, TERNI, 1997, 1998, 1999, 2000, 2007, 2008.
Ø Città di Lecce, LECCE, 1998, 2002, 2004, 2005, 2006.
Ø Laurentum, ROMA, 1998.
Ø Nel 2000 con Gesù Buon Pastore, ISCHIA (Napoli), 1998.
Ø L’uomo e il mare, GALLIPOLI (Lecce), 1996,1997,1998.
Ø Luigi Santocchia, TERNI, 1998.
Ø La Piazzeta, SALERNO, 1999.
Ø Giuseppe Stefanizzi, SOGLIANO CAVOUR (Lecce), 1997, 1999, 2002, 2005.
Ø Serena Letizia nel 2000, BAGHERIA (Palermo), 2000.
Ø Artepoesia a Montepulciano, MONTEPULCIANO (Siena), 2000.
Ø L’Acàlypha, PALERMO, 2001.
Ø Una goccia di sangue per la vita, LECCE, 2001.
Ø Massimo D’Azeglio, BARLETTA (Bari), 2001, 2002, 2004, 2005, 2008, 2009.
Ø Litorale Pisano, MARINA DI PISA (Pisa), 2001, 2003, 2004, 2006.
Ø Bèla Spèza, LA SPEZIA, 2002, 2003.
Ø Marilianum, MARIGLIANO (Napoli), 2002.
Ø Ripa Grande, ROMA, 2002.
Ø Santuario Assunzione B.V. Maria in Arcagna, MONTANASO LOMBARDO (Lodi), 1997, 1999.
Ø Tuscolorum, OLEVANO SUL TUSCIANO (Salerno), 1998.
Ø Creatività Itinerante Bari, RODI GARGANICO (Foggia), 2002. Creatività Itinerante Bari, GALLIPOLI (Lecce), 2004.
Ø Madonna di Montalto, MESSINA, 1998, 2001, 2002, 2003, 2004.
Ø Città di Bari, BARI, 2000, 2001, 2002.
Ø Osservatorio, BARI, 2001.
Ø Nino Palumbo, BARI, 2001.
Ø Ruggero II, ROMA, 2002.
Ø Penisola Sorrentina, PIANO DI SORRENTO (Napoli), 2001, 2002, 2003.
Ø Lodoletta Pini, PISA, 2002, 2004.
Ø Histonium, VASTO (Chieti), 2002, 2004.
Ø Versi per la vita, Bari, 2002.
Ø Paestum, MERCATO SAN SEVERINO (Salerno), 2002.
Ø Il Volto della Natura, VICENZA, 2002.
Ø Nosside, REGGIO CALABRIA, 2002.
Ø Histonium, VASTO (Chieti), 2003 – Premio Speciale unico per la Regione Puglia.
Ø Poesia Dialettale, SENIGALLIA (Ancona, 2003, 2006, 2010.
Ø Premio Clitumno, SPOLETO (Perugia), 2003.
Ø Torre Pendente, PISA, 2004, 2005, 2006.
Ø Premio Madre Terra, Sorella Acqua, ASSISI (Perugia), 2005, 2006.
Ø Massimo D’Azeglio, BARLETTA (Bari), 2006 – Vincitore Premio Speciale Ad Majora.
Ø A.N.M.I., GALLIPOLI (Lecce), 2005, 2006, 2007.
Ø Augusta Perusia – Grifo d’Oro, PERUGIA, 2008, 2009.
Sue poesie sono apparse su pubblicazioni varie e su molti suoi disegni. Alcuni versi sono apparsi in note e articoli di giornali. Le poesie di questa raccolta, ed altre, sono apparse su fogli, cartoncini con interpretazioni grafico-coloristiche, molte su fascicoli dello stesso autore, alcune in installazioni su fogli di grandi dimensioni, in mostre d’arte, ed altre in attività e manifestazioni culturali varie.
I vv. 14-25 della poesia 1982 sono stati riprodotti sul Monumento a San Francesco in SPONGANO (Lecce) (con lo Pseudonimo di José Amaz Greco), e,
la poesia Matonna t’a Cutura è stata incisa su una lastra di travertino ai piedi del Monumento della Madonna della Coltura in PARABITA (Lecce).
E’ autore di traìni te maravije misteri te culori te tanti jaggi poisie raccolta d’opere di segni-colori-parole, tecnica mista, dialetto di Parabita/ dialetto e italiano/ italiano, Traduzioni in lingua italiana di Giuliana Coppola, Prefazione di Donato Valli, Associazione Progetto Parabita, 2008, (T’a’ mmutata, Nc’è nnu celu ‘cqua’ nnui, Sciòscia, Cumete, Certe matine, Osci bbèspara, ‘Ste malizziuse, Sciurnate, Intr’a curiera, Te marzu, ‘A luna janca, Ci stai ssattatu a rretu ‘nna fanèscia, Vecchiareddhru, ‘Mbriacu, ‘I vagnuni, Primavera, A ffiate, Cisape, Nsiddhrisciatu te stelle, Tornu tornu a bbui, Il tempo ti accarezza, Tornano al cielo i giorni, Poesie di carta, Tiempu ‘rretu, Tie ddevinavi sempre, Màncane to’ minuti, Alla musa, Osci, Te mandu nu pansieri, Salentu, A ffiate scarcagnizzu, ‘A stella cchiu’ ddumata, ‘A luna, Eccula, èccula la luna, Ricalu disegnatu su’ ddhra petra (Matonna t’a Cutura), Pasca).
Sue opere si trovano in Italia e all’estero, tra cui:
Chiesa Madre, GALATONE (Lecce). Chiesa delle Anime, PARABITA (Lecce). Pinacoteca “Enrico Giannelli” PARABITA (Lecce). Parrocchia Maria Muteru Muikaria wa Arimi, WAMAGANA (Nyeri) KENYA.
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