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'ntridici
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FORUM - SEMINARIO di ARTE e POESIA - LINGUA SICILIANA :: LINGUA SICILIANA :: Dubbi su come scrivere il siciliano
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'ntridici
‘NTRIDICI
ETIMOLOGIA SICILIANA
Alphonse Doria
Siculiana, 13 jnnaru 2011
Questa mattina è nata Irene, la quarta figlia femmina di mio fratello Mario.
“Auguri!”
Grazie.
E’ stato un parto cesareo, ringraziando il Signore tutto bene. La bambina è stata portata nel reparto di pediatria al sesto piano, per alcuni accertamenti, dalla sorella Giusy e da alcune zie.
Nel pomeriggio le stesse zie vanno al reparto per avere notizie della piccola Irene, ma le viene risposto dal personale che le potevano concedere solo ai genitori per la legge sulla privacy. Non ci fu modo e ragione, né spiegando che a portare la bimba sono stati loro stessi, né che il padre era a lavorare in continente e la madre impedita per l’operazione. Così vado a vedere come è la situazione, salgo dal quinto piano al sesto. Come mi vede, con il mio seguito delle zie, l’infermiere ha la sensazione dell’attacco alla carovana. Con tono cortese e gentile gli chiedo le notizie, l’infermiere riferisce che non ha l’autorità pertanto chiama il medico di turno. Arriva una simpatica giovane donna arabosicula, in camice bianco, con un espressione che non preannunciava niente di buono. Con tono manieroso, chiedo anch’io le informazione, la dottoressa mi risponde picche, le poteva dare solo ai genitori per legge sulla privacy.
-Bene allora, visto che il padre è a lavorare in continente e la madre è giù ostacolata dall’intervento subito, ci fa la cortesia di scendere lei ad informare la madre dello stato di salute della bambina. Cerchi di fare presto, non sa come si preoccupano le madri per i propri figli!?
-Io lo so come si preoccupano le madri!- Con tono offeso.
-La mia era una domanda retorica.
-La sua era una affermazione!
Non ho voluto controbattere, non mi conveniva, non mi interessava.
-Andrò appena sarà possibile, non posso lasciare intredici, come finisco le visite andrò!
Ora non so se la giovane dottore ha voluto fare dell’ironia, come per dire: guarda questo miserabile che mi parla di “domanda retorica”, oppure ha prodotto un solecismo.
Grandi autori, come De Roberto, hanno utilizzato questo errore linguistico per i loro scopi letterari.
Un esempio di solecismo lo troviamo proprio all’inizio del romanzo I Vicerè dove Giuseppe con il bambino in braccio, che culla, in seguito è così descritto: “Giuseppe, col bambino ancora in collo, era rimasto intontito, (…)” Ora in lingua italiana ha ben poco di significato, perché è una traduzione letterale dal Siciliano: “Peppi, cu l’addevu ancora ‘ncoddu, arristà amminchialiddutu, (…)” In Siciliano per dire in braccio utilizziamo spesso ‘nbrazza, per volere specificare che si ha addosso, come un capo d’abbigliamento, o come qualsiasi altra cosa, in questo caso un bambino, utilizziamo ‘ncoddu. Il De Roberto ha inserito questo errore morfologico appositamente, dando l’idea del pensiero di un bambino che diventa un carico addosso, ma cosa significa in italiano ancora in collo? Questo genere di errori è il più frequente dei nostri studenti, della gente comune e non solo, anche dei dottori. Basta perdere la concentrazione per un attimo e tradurre il pensiero siciliano letterariamente in italiano ed è fatta. Nelle nostre scuole un bambino viene subito deriso e preso in giro, e non viene considerato un errore linguistico, come si dovrebbe . De Roberto stesso scrive: “Fra i due partiti estremi, io tento, con l'esempio del Verga, una conciliazione; sul canovaccio della lingua conduco il ricamo dialettale, arrischio qua e là dei solecismi , capovolgo certi periodi, traduco qualche volta alla lettera, piglio di peso alcuni modi di dire e riferisco molti proverbii, pur di conseguire questo benedetto colore locale non solo nel dialogo, ma nella descrizione e nella narrazione ancora”
‘NTRIDICI tradotto in italiano è “in tredici”, come pure letterariamente in siciliano “in tridici”, per la sintagma avviene la combinazione delle due parole e si ottiene “intridici”, poi per l’afaresi la caduta della vocale iniziale che viene rappresentata dal segno “ ’ ” posto in alto sull’unità linguistica, ottenendo così “’ntridici”.
‘Ntridici significa “interrompere un lavoro, una impresa, un gioco”. Ritornando alla nostra simpatica dottoressa “ (…) non posso lasciare intredici, come finisco le visite andrò!” che ha tradotto dal siciliano: “ … ‘un pozzu lassari ‘ntridici, comu finisciu ci vaju!” E che poteva esprimersi: “ (…) non posso interrompere, come finisco le visite andrò!”.
“Tridici” viene dal latino “tredecim”, è un nome numerale, “tre unità sopra il dieci”. Mentre “lu ‘ntridici” era un gioco detto pure “a fari ‘ntridici”, con i dadi, oppure con le nocelle, o i sassi, insomma bisognava fare tredici, né più né meno e più volte. “Lassari, o arristari ‘ntridici” si dice quando uno dei compagni è lasciato solo.
ETIMOLOGIA SICILIANA
Alphonse Doria
Siculiana, 13 jnnaru 2011
Questa mattina è nata Irene, la quarta figlia femmina di mio fratello Mario.
“Auguri!”
Grazie.
E’ stato un parto cesareo, ringraziando il Signore tutto bene. La bambina è stata portata nel reparto di pediatria al sesto piano, per alcuni accertamenti, dalla sorella Giusy e da alcune zie.
Nel pomeriggio le stesse zie vanno al reparto per avere notizie della piccola Irene, ma le viene risposto dal personale che le potevano concedere solo ai genitori per la legge sulla privacy. Non ci fu modo e ragione, né spiegando che a portare la bimba sono stati loro stessi, né che il padre era a lavorare in continente e la madre impedita per l’operazione. Così vado a vedere come è la situazione, salgo dal quinto piano al sesto. Come mi vede, con il mio seguito delle zie, l’infermiere ha la sensazione dell’attacco alla carovana. Con tono cortese e gentile gli chiedo le notizie, l’infermiere riferisce che non ha l’autorità pertanto chiama il medico di turno. Arriva una simpatica giovane donna arabosicula, in camice bianco, con un espressione che non preannunciava niente di buono. Con tono manieroso, chiedo anch’io le informazione, la dottoressa mi risponde picche, le poteva dare solo ai genitori per legge sulla privacy.
-Bene allora, visto che il padre è a lavorare in continente e la madre è giù ostacolata dall’intervento subito, ci fa la cortesia di scendere lei ad informare la madre dello stato di salute della bambina. Cerchi di fare presto, non sa come si preoccupano le madri per i propri figli!?
-Io lo so come si preoccupano le madri!- Con tono offeso.
-La mia era una domanda retorica.
-La sua era una affermazione!
Non ho voluto controbattere, non mi conveniva, non mi interessava.
-Andrò appena sarà possibile, non posso lasciare intredici, come finisco le visite andrò!
Ora non so se la giovane dottore ha voluto fare dell’ironia, come per dire: guarda questo miserabile che mi parla di “domanda retorica”, oppure ha prodotto un solecismo.
Grandi autori, come De Roberto, hanno utilizzato questo errore linguistico per i loro scopi letterari.
Un esempio di solecismo lo troviamo proprio all’inizio del romanzo I Vicerè dove Giuseppe con il bambino in braccio, che culla, in seguito è così descritto: “Giuseppe, col bambino ancora in collo, era rimasto intontito, (…)” Ora in lingua italiana ha ben poco di significato, perché è una traduzione letterale dal Siciliano: “Peppi, cu l’addevu ancora ‘ncoddu, arristà amminchialiddutu, (…)” In Siciliano per dire in braccio utilizziamo spesso ‘nbrazza, per volere specificare che si ha addosso, come un capo d’abbigliamento, o come qualsiasi altra cosa, in questo caso un bambino, utilizziamo ‘ncoddu. Il De Roberto ha inserito questo errore morfologico appositamente, dando l’idea del pensiero di un bambino che diventa un carico addosso, ma cosa significa in italiano ancora in collo? Questo genere di errori è il più frequente dei nostri studenti, della gente comune e non solo, anche dei dottori. Basta perdere la concentrazione per un attimo e tradurre il pensiero siciliano letterariamente in italiano ed è fatta. Nelle nostre scuole un bambino viene subito deriso e preso in giro, e non viene considerato un errore linguistico, come si dovrebbe . De Roberto stesso scrive: “Fra i due partiti estremi, io tento, con l'esempio del Verga, una conciliazione; sul canovaccio della lingua conduco il ricamo dialettale, arrischio qua e là dei solecismi , capovolgo certi periodi, traduco qualche volta alla lettera, piglio di peso alcuni modi di dire e riferisco molti proverbii, pur di conseguire questo benedetto colore locale non solo nel dialogo, ma nella descrizione e nella narrazione ancora”
‘NTRIDICI tradotto in italiano è “in tredici”, come pure letterariamente in siciliano “in tridici”, per la sintagma avviene la combinazione delle due parole e si ottiene “intridici”, poi per l’afaresi la caduta della vocale iniziale che viene rappresentata dal segno “ ’ ” posto in alto sull’unità linguistica, ottenendo così “’ntridici”.
‘Ntridici significa “interrompere un lavoro, una impresa, un gioco”. Ritornando alla nostra simpatica dottoressa “ (…) non posso lasciare intredici, come finisco le visite andrò!” che ha tradotto dal siciliano: “ … ‘un pozzu lassari ‘ntridici, comu finisciu ci vaju!” E che poteva esprimersi: “ (…) non posso interrompere, come finisco le visite andrò!”.
“Tridici” viene dal latino “tredecim”, è un nome numerale, “tre unità sopra il dieci”. Mentre “lu ‘ntridici” era un gioco detto pure “a fari ‘ntridici”, con i dadi, oppure con le nocelle, o i sassi, insomma bisognava fare tredici, né più né meno e più volte. “Lassari, o arristari ‘ntridici” si dice quando uno dei compagni è lasciato solo.
alphonsedoria- nutrìcu
Re: 'ntridici
Molto simle è il termine dialettale "tridicinu" che si dice solitamente a chi è sempre in mezzo ai piedi ...
chissà per quale significato?
chissà per quale significato?
FORUM - SEMINARIO di ARTE e POESIA - LINGUA SICILIANA :: LINGUA SICILIANA :: Dubbi su come scrivere il siciliano
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