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RIFLESSIONI E SPUNTI Emersi dal Raduno Poeti di RG
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RIFLESSIONI E SPUNTI Emersi dal Raduno Poeti di RG
RIFLESSIONI E SPUNTI
SULLA POESIA DIALETTALE SICILIANA
Emersi dal 1° Raduno di Poeti dialettali di Sicilia al Castello di Donnafugata-Ragusa il 26 Aprile 2009
Il raduno che si è tenuto al castello di Donnafugata nei giorni scorsi, mi ha dato modo di tirare fuori delle riflessioni importanti e degli spunti sui quali poter lavorare per proiettare la poesia siciliana verso un futuro in cui possa primariamente sopravvivere, facendola arrivare di più tra la gente.
Dalle tante poesie recitate, è emerso che la maggior parte di queste hanno come tema di fondo “la perdita di parenti o amici” e “l’introspezione” ( quest’ultimo spesso associato al tema della fede ).
Poche invece, sono le poesie d’amore, quelle dedicate a temi sociali e ancor meno alle tradizioni popolari.
La forte ricorrenza dei temi del “distacco” dai cari e della conoscenza introspettiva di sé, lascia pensare senz’altro al fatto che il poeta, o il “poetante”, come adoro personalmente definirlo ( ovvero colui che dinamicamente crea e recita poesie ), vive con grande sofferenza lo stato della “solitudine”. Quel distacco, che sia esso da un caro andato via, o dalla città natale per emigrare o dalla natura (specchio quest’ultimo di una spesso inconscia visione dell’importanza di essere un tutt’uno con essa, anziché dominarla per paura di essa stessa), fa vivere con grande dolore l’essere soli al mondo, fattore invece essenziale per affrontare, anzi per accogliere la vita ( e la morte ) da attivi protagonisti di essa stessa.
Il tema del sentirsi abbandonati e quindi soli, tramite il distacco di quel cordone ombelicale reciso dalla madre vita, è spesso il carburante propulsore che spinge un uomo a scrivere versi, a sfogarsi e ricongiungersi con una consapevolezza più alta di se stessi e del creato, che lo renda in ultima istanza più forte.
E’ quasi come se la poesia fosse una sorta di “stampella” che consente all’uomo “zoppo poetante” di camminare nella e tra la vita, curando e leccando le proprie ferite di gente portatrice di un handicap di base, che è spesso una mancanza di affetto lecito o preteso da qualcuno o da qualcosa.
Così, a volte, il “creatore di poesie” è anche colui che osteggia il progresso, è nostalgico di valori perduti, di punti di riferimento del passato, perché ancora cerca la madre e si ostina a non voler crescere, senza accettare la cruda realtà del mondo fatta anche del cosiddetto male, ovvero di competizione, di sopraffazione, di invidia, di gelosia e via dicendo.
Il “poetante” dunque, soprattutto quello che si esprime in dialetto, ovvero nella lingua “madre” ( guarda caso), è costretto a uscir fuori, a far conoscere ciò che crea, perché cerca inconsciamente l’approvazione ( o per paradosso la disapprovazione altrui ) per trovare consenso a ciò che ha creato ( o disappunto per evolvere una nuova visione più evoluta).
Il fatto dunque che da un raduno regionale di poeti siciliani, emergano soprattutto temi introspettivi e relazionali di distacco, fa riflettere sul fatto che come conseguenza, pochi giovani continuano o si azzardano a scrivere in dialetto, quasi come se i tanti anziani ( la stragrande maggioranza) che scrivono versi siciliani, avessero un inconsapevole timore di passare il testimone.
E ancor più, chiusi e “introversi” nel dolore del distacco e della solitudine, non rischiano di stare più con la gente, il popolo, per condividerne battaglie e volontà di evoluzione sociale ( come ci ha insegnato il buon Buttitta ad esempio).
Quasi si “auto-castigano” e “auto-censurano” a non amare, a restare chiusi nel dolore, anziché azzardare la vita amando, sia che l’oggetto stesso dell’amore sia un partner di coppia, sia che essa sia la comunità o la collettività del villaggio globale in cui viviamo.
Quale soluzione allora proporre per far evolvere la poesia della nostra terra, per fare in modo che questa nostra cara e amata Trinacria, si nutra dei versi dei suoi più sensibili creatori di parole?
E’ forse sufficiente che cominciamo a diventare poesia vivente ( ovvero veri poetanti) per mettere assieme versi positivi, attivi, ironici, propositivi, anziché rimanere nella “ chiusa” della lamentela, perenne sentimento tipico di noi siciliani tutti, che ci fa solalmente rimanere piccoli e nani in tutte le sfere della vita, dall’ambito del lavoro fino a quello dell’arte.
Fabio Messina
Palazzolo Acreide (SR), 3 Maggio 2009
SULLA POESIA DIALETTALE SICILIANA
Emersi dal 1° Raduno di Poeti dialettali di Sicilia al Castello di Donnafugata-Ragusa il 26 Aprile 2009
Il raduno che si è tenuto al castello di Donnafugata nei giorni scorsi, mi ha dato modo di tirare fuori delle riflessioni importanti e degli spunti sui quali poter lavorare per proiettare la poesia siciliana verso un futuro in cui possa primariamente sopravvivere, facendola arrivare di più tra la gente.
Dalle tante poesie recitate, è emerso che la maggior parte di queste hanno come tema di fondo “la perdita di parenti o amici” e “l’introspezione” ( quest’ultimo spesso associato al tema della fede ).
Poche invece, sono le poesie d’amore, quelle dedicate a temi sociali e ancor meno alle tradizioni popolari.
La forte ricorrenza dei temi del “distacco” dai cari e della conoscenza introspettiva di sé, lascia pensare senz’altro al fatto che il poeta, o il “poetante”, come adoro personalmente definirlo ( ovvero colui che dinamicamente crea e recita poesie ), vive con grande sofferenza lo stato della “solitudine”. Quel distacco, che sia esso da un caro andato via, o dalla città natale per emigrare o dalla natura (specchio quest’ultimo di una spesso inconscia visione dell’importanza di essere un tutt’uno con essa, anziché dominarla per paura di essa stessa), fa vivere con grande dolore l’essere soli al mondo, fattore invece essenziale per affrontare, anzi per accogliere la vita ( e la morte ) da attivi protagonisti di essa stessa.
Il tema del sentirsi abbandonati e quindi soli, tramite il distacco di quel cordone ombelicale reciso dalla madre vita, è spesso il carburante propulsore che spinge un uomo a scrivere versi, a sfogarsi e ricongiungersi con una consapevolezza più alta di se stessi e del creato, che lo renda in ultima istanza più forte.
E’ quasi come se la poesia fosse una sorta di “stampella” che consente all’uomo “zoppo poetante” di camminare nella e tra la vita, curando e leccando le proprie ferite di gente portatrice di un handicap di base, che è spesso una mancanza di affetto lecito o preteso da qualcuno o da qualcosa.
Così, a volte, il “creatore di poesie” è anche colui che osteggia il progresso, è nostalgico di valori perduti, di punti di riferimento del passato, perché ancora cerca la madre e si ostina a non voler crescere, senza accettare la cruda realtà del mondo fatta anche del cosiddetto male, ovvero di competizione, di sopraffazione, di invidia, di gelosia e via dicendo.
Il “poetante” dunque, soprattutto quello che si esprime in dialetto, ovvero nella lingua “madre” ( guarda caso), è costretto a uscir fuori, a far conoscere ciò che crea, perché cerca inconsciamente l’approvazione ( o per paradosso la disapprovazione altrui ) per trovare consenso a ciò che ha creato ( o disappunto per evolvere una nuova visione più evoluta).
Il fatto dunque che da un raduno regionale di poeti siciliani, emergano soprattutto temi introspettivi e relazionali di distacco, fa riflettere sul fatto che come conseguenza, pochi giovani continuano o si azzardano a scrivere in dialetto, quasi come se i tanti anziani ( la stragrande maggioranza) che scrivono versi siciliani, avessero un inconsapevole timore di passare il testimone.
E ancor più, chiusi e “introversi” nel dolore del distacco e della solitudine, non rischiano di stare più con la gente, il popolo, per condividerne battaglie e volontà di evoluzione sociale ( come ci ha insegnato il buon Buttitta ad esempio).
Quasi si “auto-castigano” e “auto-censurano” a non amare, a restare chiusi nel dolore, anziché azzardare la vita amando, sia che l’oggetto stesso dell’amore sia un partner di coppia, sia che essa sia la comunità o la collettività del villaggio globale in cui viviamo.
Quale soluzione allora proporre per far evolvere la poesia della nostra terra, per fare in modo che questa nostra cara e amata Trinacria, si nutra dei versi dei suoi più sensibili creatori di parole?
E’ forse sufficiente che cominciamo a diventare poesia vivente ( ovvero veri poetanti) per mettere assieme versi positivi, attivi, ironici, propositivi, anziché rimanere nella “ chiusa” della lamentela, perenne sentimento tipico di noi siciliani tutti, che ci fa solalmente rimanere piccoli e nani in tutte le sfere della vita, dall’ambito del lavoro fino a quello dell’arte.
Fabio Messina
Palazzolo Acreide (SR), 3 Maggio 2009
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